Biografia Silvio Trentin |
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Silvio Trentin nacque l'11 novembre 1885 a S. Donà di Piave, da una agiata famiglia borghese di proprietari terrieri. Entrambi i genitori, Giorgio Trentin e Italia Cian, erano figure di spicco nel gruppo dirigente cittadino, eredi di una tradizione che univa l'impegno per la vita pubblica a un moderato riformismo sociale. Sembra che spetti proprio ai Trentin il primato di aver istituito la prima cantina sociale d'Italia. Il padre di Silvio, benchè socialdemocratico e ammiratore di garibaldi, era un leale servitore della monarchia e aveva caro quanto ogni suo altro concittadino borghese il titolo di cavaliere, conferitogli nel febbraio 1893 per i suoi pubblici servigi. Era sindaco di S. Donà per la prima volta quando morì di polmonite il 27 aprile 1893, all'età di 41 anni.
Fino agli 11 anni, quando entrò in collegio a Treviso, Silvio visse nella residenza di famiglia, al numero 76 di piazza Indipendenza, al centro del paese. Ogni tanto accompagnava la madre a Mussetta, allora lontana 3 Km. da S. Donà, dove i Trentin possedevano in via Centenario la loro più bella tenuta agricola. Qui egli si familiarizzò con i ritmi della campagna e i suoi problemi, avendo per compagni di giochi i figli dei mezzadri. Nonostante la perdita del padre, a soli 7 anni, Silvio trovò rifugio e sicurezza nella forte solidarietà del nucleo familiare. Lo zio paterno, Antonio, ricco possidente e filantropo, si assunse la tutela della famiglia del fratello. La madre si prodigò amorevolmente verso i tre figli: Giorgio, il maggiore, nato nel 1881; Silvio per l'appunto; e Bruno, il minore, nato nel 1892. Aiuti e consigli vennero quindi dagli altri parenti, tra cui gli zii materni Alberto e Vittorio Cian. Su quest'ultimo è meglio aprire una breve parentesi: Vittorio Cian fu prestigioso docente di letteratura italiana prima all'università di Pisa e poi a quella di Torino. Il suo destino politico fu però opposto e ostile a quello del nipote. «Noto per la sua faziosità persecutoria» - sono parole di Luigi Salvatorelli - Vittorio Cian , già membro fondatore nel 1910 del partito nazionalista, seguì con entusiasmo l'avventura fascista, ricevendo in premio la candidatura nel cosiddetto listone del 1924 e la nomina a senatore nel 1929.
Ma torniamo ora a Trentin. I cinque anni delle elementari Silvio li compì alla scuola pubblica di S. Donà, dove guida indiscussa era il maestro Ciceri. Da lui Trentin mutuò una visione patriottica ma liberale della storia d'Italia, in cui il risorgimento era visto come conseguenza e adempimento della rivoluzione francese. E sempre grazie a Ciceri egli avvertì, per la prima volta, quell'etica del dovere di stampo mazziniano che doveva poi permeare la sua concezione della vita.
Dal 1896 al 1903 Trentin frequentò il liceo-ginnasio Canova di Treviso, ospite al collegio Nardari. Lo dirigeva Francesco Nardari, suo futuro suocero e uomo di grande vivacità intellettuale. Silvio in quegli anni era un ragazzo fin troppo esuberante e la cosa mal si conciliava con il severo senso del dovere e il rigido impegno nello studio richiesto da Nardari. Una notte del 1903 ne combinò una delle sue. Legò dei barattoli alla coda di un gatto che, fuggendo per i corridoi, svegliò l'intero collegio. Silvio fu così pregato di cercarsi una nuova sede per l'anno dopo.
Nell'autunno 1903, Trentin cominciò l'ultimo anno di liceo al «Marco Foscarini» di Venezia, situato alle Fondamenta S. Caterina, a circa dieci minuti di strada dal ponte di Rialto. La scuola godeva di ottima reputazione ed era frequentata esclusivamente dall'alta borghesia e dalle famiglie aristocratiche. Il rendimento scolastico di Trentin non fu così straordinario come ci si sarebbe dovuto aspettare da un giovane che a soli 21 anni cominciò a scrivere sulle riviste di legge più prestigiose. I suoi voti finali furono tutti 7 e 8, sufficienti però ad esentarlo dagli esami. I voti in condotta erano esemplari. Ma Silvio non aveva perso la propria innata esuberanza e il gusto per lo scherzo. Era di temperamento sensibile, sveglio, caldo e appassionato. Aveva il dono della caricatura che esercitò anche per il resto della sua vita in modo arguto e spietato. Di quel periodo la sua più grande passione fu il volo. Prima dei 25 anni aveva già all'attivo parecchie ore trascorse sui primi fragili biplani apparsi sui cieli italiani.
Arrivò quindi il tempo degli studi di legge. La sua iscrizione all'università di Pisa data al 9 dicembre 1904.
La fotografia, scattata ai fini dell'iscrizione, ci mostra un giovane dall'espressione estremamente seria che pare più vicino ai trenta che ai vent'anni. Ha fronte alta e folti capelli a spazzola, occhi profondi e sguardo fermo, mentre nell'espressione della bocca risalta la caratteristica combinazione di risolutezza e affabilità. A prima occhiata l'aspetto fisico del giovane Trentin non colpiva però particolarmente. Era piuttosto piccolo di statura, ma era tarchiato, con spalle larghe e un portamento diritto. Queste caratteristiche, unite alla voce risonante, alla sicurezza di sè e alla straordinaria vitalità che mai gli difettarono, lo rendevano una persona affascinante.
A Pisa, tra le diverse discipline di studio impartite dalla prestigiosa facoltà di giurisprudenza, fu il diritto amministrativo ad attrarre maggiormente Trentin. Il diritto amministrativo infatti, come più giovane branca legale in Italia, gli offriva maggiori opportunità di innovazione e di contributo creativo personale. Silvio aveva sempre desiderato di appartenere all'avanguardia in tutti i campi in cui si cimentava. E così spesso avvenne, come quando Trentin, tra primi in Italia, si interessò di legislazione sulle comunicazioni aeree, o come quando propose una teoria della bonifica integrale che coinvolgesse non solo la terra, ma tutto quanto l'ambiente umano e naturale in cui la bonifica era compiuta.
Gli studi legali Trentin li portò brillantemente a termine nell'autunno 1908. La sua tesi fu giudicata meritevole di stampa. Ma Trentin aveva già esordito come scrittore di diritto, pubblicando il suo primo lavoro, un anno prima, ad appena 21 anni. E, una volta deciso di intrarprendere la carriera accademica, Silvio ottenne la libera docenza in diritto amministrativo e scienza dell'amministrazione a Pisa il 10 giugno 1910, a 24 anni. Era allora il più giovane insegnante di diritto in Italia. Un rapido quanto suggestivo ritratto del giovane libero docente ci viene dal grande giurista fiorentino Piero Calamandrei. Calamandrei, di quattro anni più giovane, stava iniziando i suoi studi di legge a Pisa quando Trentin aveva già ottenuto la libera docenza. Egli ricorda l'espressione di Trentin, sono sue parole, come «pensosa e risoluta». Ma ciò che maggiormente ricorda è il senso di soggezione, di rispetto venato di paura, provato da lui e da altri giovani studenti in presenza di Trentin. Poteva persino risentire tale soggezione semplicemente guardando una foto di Trentin del 1940, tanto intensa e vivida era l'impressione ricevuta quando lo vide la prima volta nel 1910, nel cortile dell'università.
Dall'autunno del 1911 Trentin insegnò all'università di Camerino, dove gli furono affidati due corsi ordinari della facoltà di legge. Alla fine del primo anno di insegnamento, nell'estate del 1912, fu promosso da professore straordinario al grado di professore ordinario, il che implicava l'assegnazione permanente della cattedra.
L'anno successivo, dal settembre 1913 al luglio 1914, Trentin potè partecipare a un seminario di specializzazione presso l'università tedesca di Heidelberg.
Questa felice esperienza di studio e di vita fu bruscamente interrotta dallo scoppio del primo conflitto mondiale. L'Italia, come si sa, entrò in guerra il 24 maggio dell'anno successivo.
Prima di cominciare il servizio militare come sottotenente addetto alla Croce Rossa, Trentin trascorse l'estate del 1915 a S. Donà, trattenutovi da gravi questioni personali. In febbraio, dopo una lunga malattia, gli era morto a soli 34 anni il fratello maggiore Giorgio. I due erano uniti da vivo affetto e anche da molti interessi comuni. Giorgio si era laureato in legge a Padova e come Silvio nutriva grande attenzione per i problemi dell'agricoltura. Silvio restava ora il capofamiglia e come tale doveva occuparsi della sistemazione dei beni tanto del padre che del fratello.
In questo periodo inoltre Trentin si fidanzò con Giuseppina Nardari, per tutti Beppa, una donna il cui temperamento e i cui interessi completavano perfettamente i suoi. Era figlia di Francesco Nardari, proprietario e direttore del collegio di Treviso, da cui Silvio era stato espulso per le sue memorabili burle. Evidentemente Giuseppina aveva ereditato alcuni caratteri paterni, perchè tutti quelli che la conobbero asseriscono che era donna di forte volontà, ottima organizzatrice e insolitamente ricca di risorse in tempi di avversità. Era insieme vivace e piena di spirito e possedeva quell'indefinibile qualità che va sotto il nome di gentilezza. Come la maggior parte di quelli che la conoscevano, anche Silvio si sentì attratto dalle sue maniere cordiali e comunicative.
Silvio e Beppa si sposarono a Treviso il 1 aprile 1916: lei aveva 24 anni, lui 30. La loro prima residenza fu una casa recentemente acquistata da Silvio in viale dei Tigli (ora via Cesare Battisti) qui a S. Donà.
In questa casa il 23 luglio 1917 nacque il loro primo figlio a cui, come era tradizione familiare, fu dato il nome di Giorgio. Quattro mesi dopo, occupata S. Donà, le truppe austriache avrebbero requisito la casa per installarvi il loro Quartier Generale.
Trentin, dalla fine del 1915 agli ultimi mesi del 1917, fu occupato con funzioni amministrative presso la Croce Rossa. Si era offerto volontario appena iniziate le ostilità, benchè i suoi trent'anni gli consentissero al momento di restare al suo comodo posto di docente universitario a Camerino. Anzi, di più: Trentin avrebbe potuto essere esonerato dal servizio militare giacchè un incidente di volo, avvenuto nel 1909 o nel 1910, lo aveva reso parzialmente sordo a un orecchio. E invece Trentin partì volontario per quell'etica del dovere che dettò tutte le scelte cruciali della sua vita.
Tutt'altro che nazionalista, Trentin era interventista come lo erano i gruppi radicali, democratici e socialisti riformisti con cui da tempo si identificava. La guerra, per Trentin, doveva essere compimento del Risorgimento, con la restituzione di Trento e Trieste all'Italia, ma anche doveva provocare la distruzione dell'autocrazia austro-tedesca e riaffermare il diritto all'autodeterminazione dei popoli.
Nell'ultimo anno di guerra Trentin fu trasferito dalla Croce Rossa al I° Gruppo Speciale Informazioni della III Armata. Si trattava di un reparto aereo adibito alla ricognizione fotografica e al collegamento con gli informatori che agivano in territorio nemico. Raffaello Levi, amico del tempo, rivela che Trentin fu assai riluttante, nel novembre del 1919, a presentarsi come candidato dell'Associazione nazionale combattenti perchè, secondo lui, troppo poco era il tempo in cui aveva prestato servizio attivo al fronte. E in effetti Trentin entrò in azione per la prima volta, probabilmente, solo nella tarda primavera del '18. Ma quei pochi mesi furono contrassegnati da imprese memorabili.
Durante la terribile battaglia del Solstizio, nel giugno 1918, che costò all'Italia 90.000 tra morti e feriti e in cui la stessa S. Donà fu completamente rasa al suolo, Trentin fu costretto a sganciare bombe sulla propria casa, ancora sede del comando austriaco. Già da qualche mese però egli poteva vantarsi di aver partecipato alla più lunga ricognizione aerea della guerra. Da bordo di un dirigibile fu infatti fotografata l'intera linea del fronte dal Trentino all'Adriatico. Questa missione gli procurò il primo di una serie di encomi e medaglie. Una di queste medaglie gli fu assegnata per il coraggio che lui e i compagni di equipaggio dimostrarono nella notte tra il 21 e il 22 agosto 1918. Nel rifornire i nostri informatori nel Friuli, il loro Caproni fu colpito ripetutamente dalla contraerea nemica, ma ciò nonostante l'aereo riuscì a rientrare alla base di Marcon. A quel tempo si parlò molto anche di una spericolata manovra di Trentin che in volo si arrampicò sull'ala del suo biplano per spegnere un incendio.
Una settimana prima della fine della guerra Trentin compì la sua missione forse più pericolosa. Come esperto di ricognizione e perfetto conoscitore della topografia della zona, gli fu ordinato di guidare un attacco di bombardieri contro una batteria austriaca che, posizionata alla periferia di S. Donà, seminava la morte nelle nostre linee. L'attacco, compiuto in volo notturno a bassissima quota, ebbe pieno successo e l'artiglieria nemica fu messa a tacere. La cosa però non finì lì per Trentin. Quando S. Donà venne liberata, egli volle recarsi sul posto. Rimase sconvolto da ciò che vide e, rivoltosi all'amico Vittorio Ronchi, disse: «Ho fatto il mio dovere di combattente, ma quale angoscia mi è rimasta nel cuore. Bisogna veramente compiere ogni sforzo per evitare le guerre e ogni forma di brutale violenza».
In Trentin e in milioni di altri uomini la guerra aprì una lacerazione profonda, fu un'esperienza devastante dopo la quale non poterono essere più gli stessi. Negli spiriti migliori, nelle coscienze più attente la guerra fu però anche un terreno fertile da cui far scaturire nuovi sentimenti di solidarietà e di rispetto per l'individuo, insieme ad una acuita sensibilità per il sociale, per i bisogni e le aspettative della gente. La guerra insomma costituì la molla che portò Trentin e altre coscienze sensibili all'attiva partecipazione politica. Non fu comunque per Silvio una scelta facile. Egli aveva sì chiaro il dovere di contribuire alla ricostruzione della nazione italiana in modo da garantirne l'integrità politica ed economica. Ma pensava di farlo nella veste di tecnico. Sottovalutando se stesso, reputava di non avere la stoffa del politico. E così il suo primo contributo, una volta terminata la guerra, fu proprio nella veste di tecnico, quando si ritrovò a svolgere un ruolo fondamentale nella creazione dello strumento più importante per lo sviluppo della regione, ossia l'Istituto federale di credito per la ricostruzione del Veneto, istituito nel marzo 1919.
Nel novembre 1919 però le sue resistenze vennero meno davanti alle preghiere degli amici e si candidò alle elezioni politiche nella lista della Democrazia sociale veneziana. Si trattava di un cartello elettorale che comprendeva raggruppamenti della sinistra democratica riformista. Trentin fu l'unico eletto della lista e il suo fu quindi soprattutto un successo personale.
Sul finire del 1919 ci furono altre novità nella vita dei Trentin: presero stabile domicilio a Venezia, abitando in un appartamento al secondo piano di palazzo Manin, dove pure aveva sede la Banca d'Italia. Il bell'edificio del XVI secolo si trovava in calle larga Mazzini, a pochi passi dal ponte di Rialto. L'altra novità fu la nascita del secondogenito, una bambina, a cui fu dato il nome di Franca.
Veniamo ora alla milizia parlamentare di Trentin. La sua permanenza a Montecitorio fu breve. Durò solo un anno e quattro mesi per la fine anticipata della legislatura, ma si contraddistinse subito per l'alto profilo tecnico e morale, nonchè per l'eccezionale mole di risultati.
Due sopra tutti vanno ricordati: il primo fu l'istituzione dell'Ente di rinascita agraria per le provincie di Venezia e Treviso, per il quale Trentin scrisse lo statuto di fondazione; il secondo fu il decreto che autorizzava per cinque anni la spesa per la bonifica integrale di circa 75.000 acri di terreni paludosi che si estendevano tra i fiumi Lemene e Livenza.
L'esperienza parlamentare di Trentin si chiuse nel maggio del 1921. Non fu rieletto in quelle elezioni anticipate che segnarono la sconfitta di tutte le forze politiche intermedie.
Il 1921 fu un anno segnato dal dolore per Trentin. Il piccolo Giorgio fu a lungo tra la vita e la morte per una paurosa caduta dalla finestra di casa. Gli morì improvvisamente il cognato ventottenne. Perse l'amico più caro, il compagno di lotta politica che Trentin chiamava «mia guida, mio maestro di vita»: Mario Marinoni, un uomo di straordinarie virtù morali e intellettuali che Venezia intera salutò come il «santo laico».
La morte di Marinoni aveva ridestato quella vena di pessimismo nella personalità di Trentin che lo induceva a considerare sofferenza e infelicità come elementi centrali della vita. Ma era altrettanto tipico di lui riprendere con vigore l'azione pratica nel momento esatto in cui le circostanze sembravano escludere ogni possibilità di successo.
In quei mesi il principale impegno di Trentin divenne l'organizzazione del famoso e ormai storico convegno sulle opere di bonifica che si tenne a S. Donà dal 22 al 25 marzo 1922. Armato di progetti concreti Trentin, in un discorso poi ricordato a lungo da amici e avversari, dava una nuova interpretazione e quindi nuova dimensione al problema della bonifica agraria.
Nel frattempo Trentin decise di tornare all'insegnamento. Il 24 ottobre 1921 vinse il concorso per la cattedra di diritto amministrativo a Macerata, dove insegnò due anni.
Per certi aspetti questa sua decisione fu una perdita per la democrazia italiana perchè egli, secondo il suo costume, prese questo impegno professionale con estrema serietà considerando l'adempimento degli obblighi di docente come una responsabilità prioritaria. Questo senso austero del dovere esigeva che uno dedicasse la vita al bene comune ed esigeva anche la fermezza di non accettare compromessi. Per questa fede, ad esempio, Trentin aveva rinunciato, dopo l'elezione a deputato, alla professione di avvocato e alle numerose consulenze che egli riteneva incompatibili con l'esercizio del mandato parlamentare. Di conseguenza, per far fronte alle spese di famiglia, aveva finito per trovarsi gravemente indebitato verso molti amici devoti.
Alla luce di questi atteggiamenti ben si comprende come l'antifascismo di Trentin sia stato una rivolta morale prima ancora che politica. Con stupore e con sgomento Trentin osservò che la conquista fascista del potere coincideva con una crisi di valori, una crisi di fede in principi ai quali egli, e altri come lui, avevano consacrato la vita. Questa crisi era particolarmente manifesta nella pronta adesione che le oppressive leggi fasciste trovavano in persone a cui Trentin era solito guardare come modelli e guide. Ma anche amici, membri della sua stessa famiglia, colleghi furono tra i primi ad abbracciare la causa del fascismo.
Trentin reagì comunque da par suo. Aumentò anzichè diminuire la sua attività di oppositore, partecipò sistematicamente a tutti i tentativi di formare un grande partito liberaldemocratico antitetico negli uomini e negli ideali al nuovo regime. E il regime Trentin osò sfidarlo apertamente quando, con alcuni amici di S. Donà, il 4 novembre 1924 si recò a Fratta Polesine per rendere omaggio alla tomba di Giacomo Matteotti. All'entrata in cimitero lui e gli amici furono costretti ad esibire i documenti ai carabinieri. Questo affronto alla sua dignità di uomo libero si ripetè agli inizi del 1925 allorchè uno squadrista veneziano gli impedì di entrare a Ca' Foscari per svolgervi la sua lezione.
Era dal 1923 che Trentin insegnava all'ateneo veneziano, la qual cosa gli aveva consentito di essere nuovamente vicino ai vecchi compagni di lotta. Trentin però percepiva con sempre maggiore insofferenza la situazione paradossale di essere al contempo un funzionario di quello stesso governo di cui era ormai un irriducibile avversario. Così quando il regime emanò il 24 dicembre 1925 un decreto che privava tutti gli impiegati dello Stato della loro libertà politica ed intellettuale Trentin decise di dimettersi.
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