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Biografia Martin Heidegger
Martin Heidegger
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Martin Heidegger (Messkirch 26 Settembre 1889-Friburgo in Brisgovia 26 Maggio 1976), fu uno dei massimi filosofi tedeschi. Allievo di Edmund Husserl, con la pubblicazione di Essere e tempo (1927), diede avvio al distacco dalla fenomenologia. L'opera venne interpretata all'epoca come esistenzialista. Secondo Heidegger l'esistenza autentica dell'uomo era configurata come apertura al mondo e come consapevole progettualità che andava oltre il quotidiano, ed alla sua base si trovava la consapevolezza dell'ineluttabilità della morte. Nell'opera La dottrina platonica della verità, con una lettera sull'umanismo (1947), il filosofo respinse come falsa l'interpretazione che gli attribuiva la paternità dell'esistenzialismo ed affermò che le sue tematiche fossero le sfumature dell'essere e non dell'esistenza.

Nel 1933 venne nominato rettore dell'Università di Friburgo ed aderì al partito nazionalsocialista. Si dimise dall'incarico di rettore nel 1934, pur continuando ad insegnare. Nel 1950, con la pubblicazione di Sentieri interrotti, Heidegger sostenne che la poesia fosse l'unico modo possibile della manifestazione dell'essere. Solo il componimento poetico, secondo il filosofo, avrebbe consentito di ritornare sulle tracce di un cammino la cui meta appartenesse più alla poesia che alla filosofia.

I temi centrali della svolta dopo il 1950 furono la storia della metafisica come destino dell'occidente, e poi l'essenza della tecnica come realizzazione della metafisica - la possibilità di un superamento della stessa – indi, l'essenza del linguaggio, la funzione della poesia come strada per il raggiungimento della consapevolezza e l'evasione dalla superficialità.

I temi erano affascinanti, ma la trattazione oscura. Non deve meravigliare quindi il fraintendimento di Essere e tempo anche da parte dei più abili addetti ai lavori. Altre opere importanti del filosofo tedesco rimangono Introduzione alla metafisica (1953), Che cosa significa pensare? (1954), Nietzsche (1961), La tesi di Kant sull'essere (1963), Il trattato di Schelling sull'essenza della libertà umana (1971).

Rispetto alla fase del pensiero di Heidegger rappresentata da Essere e tempo, nel corso degli anni Trenta del Novecento maturò una svolta che si espresse soprattutto negli scritti pubblicati a partire dal decennio successivo, e tale svolta, pur ricollegandosi a spunti già ben presenti nel periodo precedente, si configurò come un passaggio dalla filosofia esistenziale, alla riflessione esplicitamente ontologica.

Di questa nuova fase fu testimonianza un saggio dedicato al famoso frammento di Anassimandro. Il filosofo tedesco partì da una traduzione letterale e tradizionale di quel frammento, del quale fornì, alla fine, un’interpretazione radicalmente nuova, e secondo la maggior parte degli studiosi, forzata e sostanzialmente infondata. In effetti, il suo metodo di indagine dopo la svolta si basò spesso sulla rilettura di testi poetici o filosofici ed in particolar modo di frammenti d’attinenza a pensatori greci arcaici.

Questa rilettura non fu motivata dall’esigenza del rigore filologico e dal tentativo di ricostruire nella maniera più fedele possibile la civiltà di quel popolo così lontano nel tempo. Si trattò invece, di far parlare quella stessa prospettiva ontologica che accomunava noi e gli antichi pensatori, entrambi coinvolti in un unico destino, di cui essi rappresentavano l’inizio e noi la fine.

Secondo il consueto procedimento di Heidegger, l’essenza dell’Essere veniva chiarita attraverso un’indagine linguistica. Esso era "alétheia", cioè verità. Questo termine era composto da "alfa privativa" che indicava appunto la negazione, e dalla radice della parola "léthe" (oblio), presente anche nel verbo "lantháno" significante "nascondere". In quanto "alétheia", quindi, l’Essere fosse un uscir fuori dall’oblio e dall’essere nascosto.

Tuttavia, il fatto che il nascondersi, fosse pure il venir superato dal disvelamento, entrò a comporre la parola che indicava la verità e quindi l’Essere avrebbe suggerito che il rimanere nascosto fosse comunque una dimensione costitutiva dell’Essere stesso, e che quel disvelamento non fosse mai completo, accompagnandosi sempre ad un aspetto che sarebbe rimasto "inespresso".

Anche l’analisi della temporalità dell’Essere si fondava su un’indagine linguistica. Trattavasi, in questo caso, della parola "epoché", in greco "sospensione", che Heidegger collegò all’accezione di "epoca storica", definizione d'uso in molte lingue moderne. L’epoca era la forma propria della temporalizzazione, ed ogni epoca indicava una particolare modalità di sospensione dell’Essere, il quale, in quanto "alétheia", se per un verso si disvelava, per l’altro rimaneva sempre in qualche misura in se stesso, appunto, in sospensione.

il tempo stesso è visto come un disvelamento dell'essere che però non è un disvelamento progressivo che tende ad una verità totale e all'eternità,ma un disvelamento "rotatorio" in cui aspetti che oggi vengono colti torneranno velati in altre epoche forse per non riemergerer mai più alla vista di alcuno.È dunque importante la conservazione scritta del pensiero perché i posteri almeno in parte possano cogliere e capire le verità che vediamo nella nostra epoca. Il disvelamento della verità da ragione delle differenti critiche e giudizi estetici delle opere d'arte e ne in coraggia lo studio: anche l'attribuzione di contenuti e intenti all'artista, che non voleva porre nell'opera coscientemente, vale pur sempre come rivelazione di una verità che vi ha posto senza saperlo, che l'essere lo ha spinto a porvi attraverso l'ispirazione dell'artista(che è inconscia in quanto l'artista non sa dove gli viene e in parte controversa verso scelte esclusive, che poi la sua coscienza media e discerne arrivando all'opera)

Rapporti sempre diversi si configuravano fra ciò che si manifestava e ciò che rimaneva nascosto in questa sorta di dialettica del disvelamento, ed ognuno di questi rapporti costituiva un’epoca dell’Essenza e, con ciò, un’epoca della storia dell’uomo e della sua civiltà. L’Essere, dunque, in ogni epoca si temporalizzava in un "mondo", che si configurava come un evento, nel manifestarsi parzialmente nella propria istanza, intrinseca e storica. Ed era, appunto, su tale storicità che si fondava, secondo l’illustre filosofo tedesco, il pensiero della civiltà.

Nella sua interpretazione dei filosofi arcaici, Heidegger si avvaleva della tecnica del pensiero "rammemorante", che consisteva nel "ripensare il pensiero del passato". Se in ogni epoca l’Essere si fosse manifestato, ma, ad un tempo, fosse anche rimasto nascosto, allora, rileggendo le parole dei pensatori dell’antica Grecia nella prospettiva di un’altra epoca, o della fine di un’epoca di cui essi rappresentarono l’inizio, sarebbe stato possibile far emergere il "non detto" di quanto "fu detto" nei loro frammenti.

Comunque anche nella nostra epoca l’Essenza rimane sospesa e parzialmente nascosta, ossia la dialettica di disvelamento e nascondimento si intrinseca alla natura dell’Essere. In altri termini, il lavoro interpretativo del pensiero "rammemorante" è un lavoro infinito, rispetto al quale rimarrà sempre un fondo nascosto, in cui l’Essenza rimarrà sospesa, ma la cui irriducibilità costituirà peraltro una certa modalità propria del suo manifestarsi.

Rimane tuttavia solo quest’opera di ripensamento delle origini del pensiero occidentale, che ci potrà fornire un’àncora di salvezza nella situazione attuale, caratterizzata dal più radicale e drammatico oblio dell’Essenza. L’epoca nella quale stiamo vivendo si prefigura a quella metafisica, in cui si è persa di vista la differenza ontologica, e cioè la differenza fra Essere ed "enti".

La metafisica, e la tecnica che ne era l’ultima e più radicale espressione, secondo Heidegger, si fondavano su una volontà di dominio da parte dell’uomo, e l’Essere, una volta ridotto a mero insieme di enti, avrebbe conferito a divenire strumento del soddisfacimento delle più riposte esigenze umane. Quindi, nell’età della tecnica, in cui l’oblio dell’Essenza andava via via facendosi più estremo e drammatico, avrebbe potuto e dovuto rigenerarsi nel fondamentale ruolo del pensiero "rammemorante".

Infatti, ripensando nella sera dell'Occidente metafisico quanto all’alba di quel mondo, avesse preso corpo il "detto" portandone alla luce il "non detto" - secondo le sfumature del pensiero di Heidegger - si sarebbe spinto a consentire forse, di gettare uno sguardo più acuto sui destini epocali, conducendo al recupero della differenza ontologica e di un più autentico rapporto con l’Essere, di cui l’uomo tornato "pastore" si ponesse nei propri confronti in un atteggiamento di maggior rispettoso e paziente ascolto.

Da wikipedia

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