Biografia Luciano Bianciardi |
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Luciano Bianciardi (Grosseto, 14 dicembre 1922 – Milano, 14 novembre 1971) è
stato uno scrittore, saggista e giornalista italiano, un fine traduttore dalla
lingua inglese e un critico televisivo.
Collaborò attivamente con varie case editrici, riviste, quotidiani
contribuendo significativamente al fermento culturale italiano nel dopoguerra.
La sua opera narrativa è caratterizzata da punte di ribellione verso un
establishment culturale, a cui peraltro apparteneva, e da un'attenta analisi dei
costumi sociali dell'Italia del boom economico, tanto che alla finzione
narrativa si mescolano spesso brani saggistici che sfociano sovente nella
sociologia. Dopo un periodo di oblio pressoché totale, nel 1993, la biografia di
Pino Corrias, Vita agra di un anarchico, edita da Baldini & Castoldi, ne
riporta in auge l'opera, notevole per la qualità della scrittura, e
l'attualissima vena antimoderna.
Un secondo tentativo critico per salvare l'autore grossetano dall'oblio è
stato condotto dall'ISBN Edizioni e da ExCogita (la casa Editrice fondata dal
Luciana Bianciardi, figlia dello scrittore) nel dicembre 2005 pubblicando il
primo volume della sua opera omnia intitolata emblematicamente L'Antimeridiano,
polemizzando con la rinomata collana dell'editoria italiana de I Meridiani della
Mondadori dedita alle raccolte più ampie e complete dei maggiori autori di tutti
i tempi. Nel gennaio 2008 un secondo volume ha raccolto l'intera sua produzione
giornalistica. La figura della madre non deve essere stata una figura
sempre positiva se Bianciardi la ricorda anche con queste parole: «sono stato
suo alunno, prima che figlio, per la bellezza di trentadue anni. È come avere
una 'maestra a vita', e le maestre a vita non sono comode». Adele Guidi,
insegnante elementare, richiese infatti sempre al figlio l'eccellenza negli
studi al punto da rendergli affannosi anche gli anni del liceo. Al contrario il
padre, Atide Bianciardi cassiere alla Banca Toscana, vi instaurò un rapporto di
parità arrivando a chiamarlo 'amico' fin da piccolo («e ogni volta ne ero
orgoglioso»).
Da bambino studia violoncello, lingue straniere ed è un lettore accanito, a 8
anni (1930) riceve il libro che riterrà per sempre come il preferito e che sarà
la fonte della sua passione per il Risorgimento: 'I Mille' di Giuseppe Bandi,
storia della spedizione dei Mille raccontata dalla viva voce di un garibaldino.
Frequenta il Ginnasio e poi il Liceo Classico al Carducci-Ricasoli di Grosseto,
vivendo però quegli anni di studio, come ricordato sopra, con notevole disagio,
all'affannosa rincorsa del riconoscimento di 'primo della classe', «senza
peraltro capire niente di quello che studiavo. La retorica imperversava anche
nell'insegnamento della letteratura italiana». Dopo la promozione alla terza
liceo (1940) tenta direttamente l'esame di maturità senza frequentare l'ultimo
anno, passa l'esame in autunno, quando è ormai scoppiata la Seconda Guerra
Mondiale, e a novembre si può iscrivere alla Facoltà di Lettere e Filosofia
presso l'Università di Pisa dove continua a studiare sodo.
La breve esperienza universitaria liberalsocialista rimane una parentesi
isolata: «Molti giovani della Scuola Normale erano liberalsocialisti – il
termine già circolava, pur ignorando noi tutti chi lo avesse costruito –[...].
Il mio liberalsocialismo del '41 e del '42, quanto a manifestazioni concrete, fu
del resto ben poca cosa: qualche riunione furtiva in una cameretta della
Normale, contatti tra Pisa e la mia città, dove mi incontravo con Geno Pampaloni
e Tullio Mazzoncini, qualche provata e goliardica alzata d'ingegno – una volta
scrissi una lettera a Mussolini, chiedendogli le dimissioni, dopo quelle di
Badoglio – e nulla più».
Alla fine del gennaio 1943 viene arruolato: «Il richiamo alle armi [...] mi
colse impreparato. Molto ingenuamente, io decisi di accettare la vita militare
come una prova di disciplina e di equilibrio. Credevo che la scuola allievi
ufficiali, con la sua signorile miseria quotidiana, avesse proprio questa
funzione, ed ebbi fiducia nei superiori, gli ufficiali di carriera che ci
parlavano ogni giorno di onore e di coraggio, di Patria e di Sovrano, ma
soprattutto della dignità di chiamarsi 'signori ufficiali'. Non fu necessario
attendere a lungo, per vedere quale fosse la verità: certe orribili giornate
pugliesi dell'estate e dell'autunno di quell'anno mi rivelarono lo sfacelo»;
infatti, dopo un rapido addestramento come allievo ufficiale, Bianciardi viene
inviato in Puglia, dove, tra l'altro, è testimone, il 22 luglio, del
bombardamento della città di Foggia.
Dopo l'armistizio di Cassibile si aggrega a un reparto inglese come
interprete e risale la penisola fino a Forlì, quindi torna a Grosseto: è
l'autunno del 1944.
A novembre partecipa al concorso riservato ai reduci per riprendere
l'università alla Normale e nel febbraio del 1948 si laurea in filosofia con una
tesi su John Dewey. Intanto nell'autunno del 1951 si era iscritto al Partito
D'Azione: la delusione per il suo scioglimento nel 1947 fu molto cocente, non si
iscriverà più ad alcun partito. Si sposa ad aprile e l'ottobre dell'anno
successivo diventa papà per la prima volta: «Venne anche mio padre, quel giorno,
accanto alla nuova culla, e parlammo della nostra vita, e di quella nuova vita
[...] avevamo fallito [...] se c'erano state due guerre mondiali con tanti
morti, e la miseria e la fame, e così scarsa sicurezza di vita e di lavoro e di
libertà per gli uomini del mondo. Io conclusi che non doveva più accadere tutto
questo, che non volevo che mio figlio, come me e come mio padre, rischiasse un
giorno di morire o di uccidere, di soffrire la fame o di finire in carcere per
avere idee sue, libere. Non potevo neppure più rinunciare ad avere fiducia nel
mio mondo e nei miei simili, chiudermi in un bel giardinetto umanistico e di
ozio incredulo, soddisfatto dell'aforisma che al mondo non c'è nulla di vero
[...] non potevo neppure pensare di risolvere il problema individualmente, o di
rimandarlo a più tardi, cercare, al momento buono, di truffare l'Ufficio leva, o
creare per mio figlio una situazione di privilegio [...] Non ci sarà soluzione
sicura per mio figlio se non sarà sicura anche per tutti i bambini del
mondo».
Professore di inglese in una scuola media, poi professore di storia e
filosofia al liceo che aveva frequentato da giovane, quindi nel 1951 assume la
direzione della Biblioteca Chelliana di Grosseto, bombardata durante il
conflitto e ulteriormente offesa dall'alluvione del 1946. Il nuovo direttore
crea il Bibliobus, un furgone che porta i libri nella campagna dove altrimenti
nulla sarebbe arrivato. Si occupa di un cineclub, organizza cicli di conferenze
e dibattiti, con Cassola partecipa alla creazione del "Movimento di Unità
Popolare" e si schiera contro la famigerata "legge-truffa" del 1953. Comincia un
periodo di intense collaborazioni, inizialmente sulla stampa locale poi su
testate più importanti come Belfagor e L'Avanti!, nel 1953 Il Mondo, nel 1954 Il
Contemporaneo.
Parallelamente all'attività di pubblicista si inizia ad interessare alle
lotte operaie, soprattutto alle condizioni di vita dei minatori del grossetano:
ancora con l'amico Cassola realizza un’inchiesta per L'Avanti! (pubblicata in
volume nel 1956 dall'editore Laterza) in cui polemizza sulle dure condizioni di
vita dei lavoratori e sulla povertà delle loro famiglie che aveva potuto vedere,
conoscere e misurare personalmente recandosi spesso con il suo Bibliobus a
Ribolla, paesino di minatori grossetano, dove era entrato in vivo contatto con i
suoi abitanti, instaurando con loro un rapporto amicale che lo segnerà
profondamente nel dolore quando il 4 maggio 1954 uno dei pozzi saltò in aria
uccidendo 43 lavoratori. La tragedia decreta forse la fine di un periodo per lo
scrittore, che infatti accetterà immediatamente l'invito a trasferirsi a Milano
in giugno per partecipare alla creazione di una nuova casa editrice, la
Feltrinelli.
Nel 1955, mentre comincia a collaborare con altre testate (Nuovi Argomenti e
l'Unità), Bianciardi diventa padre per la seconda volta, una femmina, Luciana,
prefatrice di alcuni suoi volumi e a cui si dovrà un'attenzione per l'opera del
padre che la critica spesso negherà. Sempre nello stesso anno è raggiunto dalla
compagna Maria Jatosti nella grande metropoli, dove Bianciardi tocca con mano il
mito del boom economico e ne inizia a constatare le contraddizioni.
L'anno successivo esce, come già detto, I minatori della Maremma, l'inchiesta
in collaborazione con Cassola sui minatori di Ribolla; intanto per Feltrinelli
traduce in pochi mesi il Il flagello della svastica di Lord Russell, secondo
titolo della neonata casa editrice che si propone una politica editoriale
democratica e di sinistra ma che, nonostante ciò, non sarà esente dalle
contraddizioni del lavoro culturale che renderanno frustrante il lavoro di
redattore Bianciardi. Il flagello della svastica è il suo primo lavoro da
traduttore vero e proprio ma è anche l'incipit della sua carriera come tale,
dopo questo infatti tradurre diverrà il suo lavoro, quello che gli permetterà di
vivere e a cui finirà per dedicarsi sempre di più, concentrandosi soprattutto
sugli scrittori statunitensi quali Jack London, William Faulkner, John Steinbeck
e Henry Miller di cui tradurrà con successo i due Tropici. Nonostante l'anno
successivo la Feltrinelli lo licenzi per scarso rendimento i rapporti col
vecchio datore di lavoro sono tutt'altro che logori, anzi per ironia della sorte
potrebbero anche essere migliori dal punto di vista di Bianciardi visto che la
casa editrice, pur garantendogli i lavori di traduzione, lo solleva da tutti gli
obblighi e le ipocrisie che gli rendevano insopportabile la vita in redazione. E
così, proprio nel 1957, la Feltrinelli pubblica di Bianciardi Il lavoro
culturale, sorta di autobiografia in cui è descritta con ironia la formazione di
un giovane intellettuale di provincia tra il secondo dopoguerra e gli anni della
ricostruzione.
Nel 1958 Bianciardi diventa padre per la terza volta, Marcello sarà il nome
del suo secondo maschio.
Nel 1959 pubblica per Bompiani L'integrazione, che vede l'occhio dell'autore
scivolare dalla precedente autobiografia in provincia a quella nuova nella
grande metropoli, in cui un rigido mondo editoriale e industrializzato confonde
completamente il letterato dietro cui si nasconde ancora una volta l'ironico
Bianciardi.
Nel 1960, dedicando come è sua abitudine solo il week end alla sua scrittura,
si stacca dalla precedente vena pubblicando un romanzo storico di ambientazione
risorgimentale: Da Quarto a Torino. Breve storia della spedizione dei Mille
(Feltrinelli), primo di una serie di romanzi in cui l'autore reinterpreta senza
alcun condizionamento storiografico ufficiale fatti e personaggi dell'Unità,
contrapponendo agli eventi raccontati dalla storia la realtà concreta dei
comportamenti degli uomini in carne e ossa, oltre che ribaltando nell'Ottocento
alcune realtà dell'Italia a lui contemporanea.
Dopo aver tradotto i due Tropici di Miller, con successo come si è avuta
già occasione di dire, continua questa sorta di tetralogia iniziata con Il
lavoro culturale e pubblica per Rizzoli quello che rimane forse il suo
capolavoro, La vita agra (1962), un romanzo in cui dichiara tutta la sua rabbia
verso quel mondo e quella società “economicamente miracolose” ottenendo,
sorprendentemente, un successo amplissimo sia di critica che di pubblico (5.000
copie in una decina di giorni). Il romanzo rese in pochi mesi Bianciardi uno
scrittore famoso che oltretutto incuriosiva la gente per quella storia
dell'anarchico che voleva far saltare il palazzo della Montecatini. La RAI lo
andò ad intervistare a casa sua, a Milano, in via Domenichino 2 e il celebre
teleregista dell'epoca Luigi Silori girò un filmato 'cult' nel quale Bianciardi
leggeva la pagina che descriveva la sua uscita mattutina per il caffè e le
sigarette, straniero in quella città, mentre scorrevano immagini straordinarie
della Milano degli anni '60, accompagnate dalla musica jazz di Giorgio Gaslini e
di Charlie Parker. Il programma ispirò il grande regista Carlo Lizzani, che nel
1964 diresse Ugo Tognazzi nella traduzione cinematografica omonima. Il tour lo
prostra moralmente, la meccanicità della sceneggiata che ogni volta deve
riprodurre per il pubblico che lo viene a vedere finisce per mortificarlo e per
questo Bianciardi si rifugia nuovamente nel lavoro di traduttore.
Rifiuta una collaborazione fissa al Corriere della Sera ma accetta di
scrivere per Il Giorno, matrimonio che durerà fino al 1966. Poi la svolta
definitiva: abbandona il genere che gli ha dato la fama e recupera il
Risorgimento con il romanzo La Battaglia Soda, che esce nel 1964 per Rizzoli.
Nello stesso anno si trasferisce a Sant'Anna di Rapallo, in provincia di Genova,
dove comincia a chiudersi in sé. Fermo nell'intento di non prendere più in mano
il filone dell'“incazzato” si dedica ad un lavoro meno entusiasmante, come
ricorda lui stesso: «Sto lavorando, ma per la pagnotta... devo ricominciare a
lavorare per Il Giorno, che io speravo di evitare, per diversi motivi, collaboro
a Le Ore, tutta roba che non mi piace molto, ma che altro vuoi fare? Leggo
parecchio, la sera, un po' di tutto... E facciamoci coraggio». Amplia infatti le
sue collaborazioni con riviste non intellettuali: Kent, Executive, Playmen, il
Guerin Sportivo e ABC, dove tiene una delle prime rubriche di critica
televisiva, TeleBianciardi appunto. Nel frattempo, nel '69, esce per Rizzoli
Aprire il fuoco, con il quale conclude la sua epopea di sarcastico critico del
mondo intellettuale in cui è vissuto, in forma più matura e con un vago
presentimento di conclusione. Dello stesso anno Daghela avanti un passo!
(pubblicato da Bietti) e Viaggio in Barberia (edito da Editrice dell'Automobile)
scritto quando già l'alcol era entrato a far parte della vita dell'autore.
Nel 1970 torna a Milano ma la sua dipendenza dall'alcool è ormai grave, e lo
spegnerà prematuramente a 49 anni il 14 novembre del 1971.
Tratto da Wikipedia
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