Biografia Franco Neri |
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Franco Neri è nato a Torino, dove i suoi genitori sono emigrati prima che nascesse. Ma la Calabria ha imparato a conoscerla in ogni angolo a suon di vacanze estive, con tanto di «mostruosi» trasferimenti che duravano giornate intere. Destinazione era il paesino d’origine dalle parti di Reggio, dove lo aspettava lo zio Caratozzolo (reso famoso da tante gag di «Zelig») assieme agli altri parenti. «Ricordo che mio papà lo chiamava “il viaggio della speranza”, perché speravamo tutti di arrivare. Prima di partire mandava la macchina, una 127 verde, dal meccanico a “fare il tagliando”. E poi se la prendeva comoda. Una volta, arrivati ad Asti, si ferma in una piazzola, tira fuori il barbecue e si mette a cucinare le braciole. Poi fa “e adesso dormiamo un po’”. Gli dico: “Ma papà, abbiamo fatto 60 chilometri, ne mancano 900”. E lui: “Proprio perché la strada è lunga, dobbiamo viaggiare riposati!”».
L’aneddoto spiega la filosofia con cui Franco, ancora oggi, vive le sue ferie. «Per me la vacanza è sinonimo di riposo. Avete presente quando chiedete a qualcuno dove va in ferie e vi dà risposte del tipo “Quest’anno visitiamo Svezia e Norvegia, poi qualche giorno in Germania e se riusciamo un salto in Svizzera...”? Oh, quelle non sono vacanze, sono lavoro! Io per vacanza intendo non fare niente tutto il giorno, è chiaro?».
Per essere ancora più chiaro, ci spiega la sua giornata tipo: «Me ne vado su una bella spiaggia calabrese in posti come Tropea, Caulonia marina o Roccella Jonica. La sveglia mai prima delle nove. Poi mi piazzo in spiaggia a oziare. Ma il vero evento della giornata è il pranzo. Sostanzialmente, ogni pranzo di un calabrese in vacanza è un pranzo di Natale. Seguono pennichella, passeggiatina, tressette con gli amici e finalmente la cena. E, sostanzialmente, ogni cena di un calabrese in vacanza è un cenone di capodanno...». Del resto per Franco è praticamente impossibile non mangiare. Perché chiunque lo incontri gli offre del cibo. «Franco, oh Franco, ti faccio assaggiare un piatto che preparo solo io». «È l’ospitalità calabrese» spiega lui. «Uno dei motivi per cui una vacanza in Calabria è impagabile. Nel senso che proprio non riesco mai a pagare, mi offrono tutto loro...».
In effetti la popolarità di Franco da queste parti è impressionante. Non riesce a fare trenta metri senza fermarsi per un autografo o una foto sul cellulare. Ma questo non gli rovina la pace della vacanza? «Ma no, ho fatto vent’anni di gavetta per ottenere che mi fermassero per strada, e ora dovrei seccarmi? Mi seccherò quando smetteranno! E poi, vede, uno del nord ti invita a cena una volta sola. E se dici di no risponde “Va bene, come preferisci”. Il calabrese invece fa “Eddai, vieni, eddai...” e prima di smettere te lo ha chiesto 30 volte!». A Franco in verità ne basta una. Anche perché lui è una buona forchetta. «Sono goloso delle specialità locali. Molte sono intrasportabili e puoi gustarle solo qui! Il vino fatto in casa, per esempio. Non chiedetemi perché, sarà l’aria, il sole, ma se lo porti al nord dopo due settimane è da buttare. Ricordo che papà portava a Torino cento litri, con l’ordine tassativo di finirli entro due settimane. Parenti e amici erano tutti arruolati... ma la mia passione era la liquirizia: ne raccoglievo a chili».
Oggi i gusti sono più robusti: «Non mi faccio mai mancare la soppressata al peperoncino e i “pipi e patate”, una zuppa di patate, peperoni e altre verdure». Unico inconveniente: la digestione lunga, che mette a rischio la nuotata pomeridiana. «Però ci sono abituato fin da bambino. Tante volte il pranzo in famiglia durava fino alle sei del pomeriggio, poi mia madre ammoniva: “Mi raccomando, prima di fare il bagno fai passare quattro ore”. E chi lo faceva, il bagno, alle dieci di sera?».
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