Biografia Francesco De santis |
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Nel cuore della
Napoli antica, a pochi passi dalla Cappella Sansevero e da Piazzetta Nilo
si trova via Francesco De Sanctis, una stretta via che precedentemente si
chiamava vico San Severo, e che fu poi dedicata al critico, storiografo
e politico che qui abitò, come ricorda anche una lapide sulla facciata
della sua abitazione.
Francesco De Sanctis fu uno dei più illustri italiani dell’ottocento
e dopo la sua morte fu degnamente commemorato in tutta la nazione, e addirittura
il paese in cui nacque, Morra Irpina in provincia di Avellino, mutò
il proprio nome in Morra De Sanctis, in onore del grande letterato.
De Sanctis nacque nel 1817 e giovanissimo si trasferì a Napoli, allievo
del grande Basilio Puoti. Nel capoluogo partenopeo visse intensamente gli
anni della giovinezza, e al suo maestro fece più volte ricorso anche
per questioni non scolastiche. Fu infatti proprio il Puoti a distoglierlo
da un matrimonio che il De Sanctis stava per combinare con una giovane napoletana,
figlia di un avvocato che vantava grandi ricchezze, ma che era invece poco
più che nullatenente. Assillato da problemi economici egli non disdegnò
anche i lavori più modesti, ad esempio come copista presso un noto
avvocato della città, ma ben presto seppe imporsi all’attenzione
dell’ambiente intellettuale, come rinnovatore del pensiero e della
critica letteraria.
Prese parte attiva alla vita culturale napoletana di quegli anni, e già
nel 1839 iniziò a tenere un corso di lezioni a vico Bisi, ora via
Nilo, passando poi alla Scuola Militare di via San Giovanni a carbonara;
la sua attività politica fu ugualmente intensa, e lo vide tra i liberali
del 1848 e quindi arrestato e condannato a tre anni di carcere nel Castel
dell’Ovo.
La sua passione politica e culturale non si spense neanche con l’esilio,
dapprima a Torino e poi a Zurigo, ove tenne anche dei corsi di lezioni.
Entrato nel governo provvisorio di Garibaldi a Napoli fu tra i primi deputati
al Parlamento Italiano e primo ministro dell’Istruzione del periodo
post-unitario, conservando l’incarico nei gabinetti Cavour, Rattazzi
e Cairoli. Lavorò intensamente e lottò contro le prime dilaganti
forme di trasformismo, di ingiustizia e di corruzione, senza mai perdere
di vista gli interessi della sua terra, e conservò pure immutato
il suo forte accento meridionale.
Negli anni in cui visse a Napoli il De Sanctis cambiò molte case,
passando da via del Formale, a via San Potito, a via Rosario a Portamedina
e a larghetto San Pellegrino e San Paolo. Una sistemazione definitiva la
trovò solo nel 1863, quando convolò a nozze e la moglie portò
in dote anche la casa di vico San Severo.
In questa casa egli visse per vent’anni fino alla morte; qui restava
per ore bendato al buio, per curare il male agli occhi che lo affliggeva,
e qui radunò le forze fisiche e mentali per affrontare energicamente
in comizio i suoi elettori di Ariano Irpino. Si presentò alla folla
sicuro e determinato, parlò senza fare uso degli occhiali, e cercò
di smentire le tante voci insistenti che lo davano malato ed incapace di
affrontare nuovamente l’attività politica; ma proprio da quella
folla, che pure lo applaudì entusiasta, non fu rieletto e si chiuse
da allora nel silenzio delle mura domestiche.
Morì il 29 dicembre 1883, e il 4 gennaio dell’anno successivo
ebbe un funerale memorabile. Come atto di omaggio il suo corpo fu imbalsamato,
ma rimase poi insepolto e dimenticato per nove anni in una cappella del
cimitero di Napoli; nel 1892 la vedova, Maria Teresa Arenaprimo, dispose
la sepoltura in una bella tomba con un busto marmoreo ed una lapide dettata
da Giovanni Bovio. Nello stesso periodo anche il Comune di Napoli fece realizzare
un degno monumento funebre al De Sanctis, con busto opera di Raffaele Belliazzi
e lapide dettata da Bonaventura Zumbini.
E così, dopo anni di incuria, il nostro si ritrovò ad avere
due sepolcri; negli stessi anni fu onorato e commemorato con statue, busti
e lapidi in tutta Italia. Fino alla morte soleva ripetere: ‘Mi
eleverete statue con la medesima semplicità onde l’antico diceva:
Datemi il Pritaneo’.
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