Biografia Esther Kinsky |
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Esther Kinsky (nata nel 1956 a Engelskirchen, Germania) è una traduttrice e scrittrice tedesca di romanzi e poesie. Dopo aver studiato slavistica a Bonn, ha lavorato come traduttrice dal polacco, inglese e russo al tedesco. Ha vissuto a Londra e oggi risiede a Berlino.
Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Kranichsteiner (2015), il Preis der SWR-Bestenliste per "Am Fluss", e il Premio Droste (2024). È stata docente presso l’Università di Bonn e la Freie Universität di Berlino.
Esther Kinsky ha fatto dell’ascolto e dell’osservazione il cuore della sua poetica. Autrice di opere a cavallo tra la narrativa, la poesia e il documentario, Kinsky è nota per la sua capacità di restituire voce alla memoria collettiva e ai paesaggi che la custodiscono. Dopo "Macchia" e "Sul fiume", ha pubblicato "Rombo", un romanzo che intreccia le testimonianze del terremoto del Friuli del 1976 con riflessioni poetiche, geologiche e antropologiche.
Vincitore del Premio Kleist e candidato al Deutscher Buchpreis e al Premio Strega Europeo 2023, "Rombo" esplora la frattura causata da quel sisma – chiamato localmente "Orcolat", "Orcaccio" – attraverso sette voci di sopravvissuti. La scrittrice ne registra le memorie e ne distilla la verità soggettiva, accostando scienza e poesia in una narrazione che tenta di trovare un linguaggio comune tra uomo e natura. Per Kinsky, infatti, il romanzo è anche un atto di traduzione: prima dall’esperienza naturale a quella umana, poi dalla testimonianza orale alla scrittura letteraria.
Il legame con l’Italia, e in particolare con il Friuli, è profondo. Kinsky vi si è trasferita attratta dalla figura di Pier Paolo Pasolini e dalla natura liminale e ibrida della regione, crocevia tra culture latine e slave. Vive in una casa rustica sulle colline friulane, da cui si può raggiungere facilmente Vienna, e dove ha potuto ascoltare a lungo le storie della popolazione locale. Un ascolto che per lei è anche un gesto d’amore, come insegnava Pasolini: per comprendere le persone, bisogna amarle.
Parallelamente alla raccolta di testimonianze, Kinsky si è immersa nello studio del linguaggio scientifico tedesco, affascinata dalla sua autonomia evolutiva e dalla sua capacità di evocare immagini poetiche. Questo interesse ha guidato la costruzione di "Rombo", in cui la voce narrante si mantiene a distanza, fedele a una metodologia simile a quella antropologica o persino al metodo scientifico, senza mai confondere l’osservatore con l’osservato.
Nel romanzo, la scrittrice rinuncia a ogni pretesa di dialogo tra l’essere umano e la natura, che rimane inaccessibile, muta, nonostante gli sforzi di comprensione. A differenza di quanto accade nelle "Operette morali" leopardiane, dove il dialogo fallisce ma esiste, in "Rombo" la comunicazione è già impossibile in partenza. Tuttavia, questa inaccessibilità non è priva di significato: per Kinsky, essa riflette anche la difficoltà dell’uomo a dialogare con sé stesso e con la propria memoria.
Esther Kinsky si definisce anticapitalista, e sottolinea che ogni lettura ecologista delle sue opere deve passare attraverso questa lente. Denuncia le diseguaglianze e il paradigma del profitto illimitato come cause primarie del distacco tra umanità e natura. La sua poetica, dunque, è anche un atto politico, che mira a restituire dignità alle storie degli ultimi e a costruire un dialogo democratico attraverso la letteratura.
Spesso paragonata a W.G. Sebald per la sua attenzione al paesaggio e al potere della camminata come gesto esplorativo, Kinsky ha sempre vissuto questo confronto con riserva. La sua voce è unica, radicata nella terra e nel dolore, nella ricerca di parole che possano restituire senso dove tutto sembra essere stato inghiottito dalla frattura. Con "Rombo", Esther Kinsky continua il suo viaggio nelle pieghe della memoria, offrendo ai lettori un’opera che scava, stratifica, e, infine, custodisce.
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