Biografia Alfonso Gatto |
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Alfonso Gatto (1909-1976), nato a Salerno da un’antica famiglia calabrese di marinai- armatori, ebbe un’adolescenza difficile (era stato segnato profondamente dalla morte precoce del fratellino Gerardo) e da adulto preferì una vita errabonda, in condizioni di miseria ricercate con voluta insistenza. Della sua città scrisse: «Salerno, rima d’inverno, / o dolcissimo inverno. / Salerno, rima d’eterno…». Si era iscritto alla facoltà di Lettere di Napoli, che abbandonò nel 1926 senza cogliere il traguardo della laurea. Si mosse confuso e deluso tra svariati lavori più o meno appaganti (fu commesso, istitutore, correttore di bozze e infine giornalista) e tra diverse città (Milano, Firenze, Venezia, Roma, nuovamente Milano e Roma) all’impossibile ricerca di una ben precisa identità (scrisse: «Un fenomeno oscuro il divenire...»). Sentiva dentro di sé il cuore di un esule che non appartiene ad alcun luogo: «Sono diventato poeta per avere sempre sentito dietro di me, dalla nascita, altre stanze, altri luoghi, altre stagioni in cui ero vissuto…».
Pubblicò numerosi volumi di versi: “Isola” (1932), “Morto ai paesi” (1937), “Poesie” (1939, 1941 e 1943), “L’allodola” (1943), “La spiaggia dei poveri” (1944), “Il sigaro di fuoco (Poesie per bambini)” (1945), “Il capo sulla neve” (1949), “La madre e la morte” (1950), “La forza degli occhi” (1954) che s’aggiudicò il premio Bagutta nel 1955, “Poesie” (1961), “Osteria flegrea” (1962), “Poesie d’amore” (1963), “Il vaporetto (Poesie per bambini)” (1963) – riedizione de “Il sigaro di fuoco”, ampliata e arricchita con la recitazione in un disco da parte del poeta – , “La storia delle vittime” (1966) che vinse il premio Viareggio, “Rime di viaggio per la terra dipinta” (1969) e “Desinenze” (pubblicato postumo nel 1977). Ha scritto in prosa: “La sposa bambina” (1944), “La coda di paglia” (1948) e “Carlomagno nella grotta” (1962).
Fu un fervente antifascista, e nel 1936 trascorse presso il carcere di San Vittore in Milano sei mesi di dura e ingiusta detenzione per cospirazione sovversiva; fu anche un vivace militante comunista, partecipando alla Resistenza e trovandosi poi sempre in testa a tutte le lotte politico-sociali (abbandonò, però, il Partito Comunista per dissidenza nel 1951). Nel 1938, insieme con Vasco Pratolini (1913-1991), fondò la rivista letteraria “Campo di Marte” che divenne il vessillo dell’emergente ermetismo.
Gatto, con i suoi primi versi toccanti e pieni di dolore esistenziale, si è posto sulla scia della poesia tradizionale patetico-melodica del conterraneo Salvatore Di Giacomo (1860-1934); in seguito, dinanzi a un mondo arcaico che andava scomparendo, divenne più allusivo e piuttosto ermetico (spesso coinvolto in meditazioni di morte). Le sue liriche, piene di un’interna musicalità come quella di un canto, ebbero il consenso della critica che in lui riconosceva un poeta estraneo agli stantii moduli della tradizione.
Fu anche un valido pittore (fece diverse mostre di tempere e acquarelli) e un colto critico d’arte, amante soprattutto della scultura e dell’architettura; ebbe il merito di diffondere nuovi e più arditi principi architettonici nell’orrenda Italia del regime fascista.
Fu nominato professore di lettere per chiara fama presso il Liceo Artistico di Bologna.
Amò molto il ciclismo: seguì per l’“Unità” i giri d’Italia del 1947 e 1948 (insieme a Pratolini), e due Tour de France nel 1957 e 1958. Dal 1974 fu collaboratore sportivo per il quotidiano milanese “Il Giornale”, di cui era direttore Indro Montanelli.
Predilesse anche il cinema, per il quale ricoprì ruoli da caratterista, donando il suo volto mobile ed espressivo in film di Pier Paolo Pasolini (“Il Vangelo secondo Matteo del 1964 e “Teorema” del 1968), di Francesco Rosi (“Cadaveri eccellenti” del 1976) e di Mario Monicelli (“Caro Michele” del 1976). Dal 1961 collaborò con la RAI-TV, trasferendosi definitivamente a Roma.
Intellettuale di sinistra, forgiato dalla militanza e dall’impegno civile, fu guidato dal desiderio urgente di rinnovare i contenuti e le forme dell’arte. In “Amore della vita” fece una commossa esaltazione dei Martiri della Resistenza («Tutto di noi gran tempo ebbe la morte. / ...Tornerà tornerà, / d’un balzo il cuore / desto / avrà parole? / …I morti, i vinti, chi li desterà?»), ma la sua poesia non fu soltanto politica ma anche dedicata all’amore e alla quotidianità, alla rimembranza e all’oblio, alla Natura e alla Terra, con il pieno coinvolgimento del poeta nel dolore e nelle pene di tutti («Immeritata la gioia / che non sia di tutti / e i nostri lutti / che non son nostri...»).
Dalla prima moglie, Agnese Jole Turco, ebbe due figlie, Marina e Paola; dalla seconda compagna, la pittrice triestina Graziana Pentich, ebbe due figli, Leone e Teodoro (quest’ultimo morto prematuramente nel 1962).
A sessantacinque anni un incidente automobilistico (occorsogli in Orbetello) lo strappò ai suoi vagabondaggi e al suo inquieto esistere, spegnendo prematuramente una voce che agognava all’«assolutezza naturale». Il poeta Eugenio Montale (1896-1981) dettò la seguente iscrizione sulla sua tomba: «Ad Alfonso Gatto / per cui vita e poesie / furono un’unica testimonianza / d’amore».
A cura di Silvia Iannello
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