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Recensione Tommaso Pincio La ragazza che non era lei - L'estratto
Spontaneità. Gusto dell'improvvisazione. Per gli hippy il sesso doveva essere una faccenda spontanea. Basta con la vecchia storia del pacchetto tutto compreso: o ti beccavi amore e matrimonio o altrimenti niente sesso. Non era giusto. Se esisteva l'amore a prima vista a maggior ragione doveva esistere un sesso dello stesso tipo. Perché mai non si dovrebbe andare con chi ti piace? Quando quanto dove e come ti piace?
Che idea fantastica, l'amore libero. Peccato non tenesse in gran conto che anche gli hippy erano esseri umani - non tutti forse, ma certi sì - e che non c'è niente di più umano della gelosia.
Per quanto non è affatto detto che Ken fosse davvero geloso. Forse era la prospettiva di diventare padre che non gli andava tanto a genio. Forse? Macché. Volendo dire le cose come stavano non ne voleva proprio sapere.
C'era una rivoluzione in corso, nel caso lei non se ne fosse accorta. Gli anni Sessanta erano appena iniziati e lui non ci pensava proprio a farseli rovinare da un figlio. Figlio di chi, poi? Ché con tutti gli acidi che lei si era fatta magari 'sto bambino veniva fuori pure un mezzo deficiente.
Le incomprensioni tra Ken e Kinky proseguirono in questo modo: lasciarono passare settimane e poi mesi. Settimane e mesi a beccarsi sulle stesse questioni. Quando non ci fu più spazio per nessuna decisione fuorché l'attesa, Ken lasciò intendere di essersi suicidato. Si trattò di una cervellotica e poco credibile messa in scena.
Per quanto nemmeno questo è detto. Che gli interessasse essere creduto, cioè. La cosa che di certo solleticava la cima dei pensieri di Ken era darsela a gambe, fuggire il più lontano possibile, tipo in Messico. E fu proprio lì che Ken riparò in attesa che si calmassero le acque.
Nel frattempo la pancia di Kinky cresceva. Il che voleva dire che lui cresceva. Tutti gli organi erano già al loro posto. La forma assunta dal cuore era quella che avrebbe mantenuto per tutta la vita. Il corpo si era dotato di una pelle vera e propria, sbarazzandosi dell'involucro protettivo nel quale era stato avvolto nei tre mesi precedenti. Pesava duecento grammi. Era alto diciotto centimetri. Entro centosettanta giorni sarebbe venuto al mondo.
Nessuno lo aveva interpellato. Nessuno si preoccupava di cosa pensasse al riguardo o se avesse nulla in contrario.
Ciò che più lo mandava in bestia, o meglio, ciò che lo avrebbe mandato in bestia negli anni a venire era che mentre le sue cellule si sdoppiavano e moltiplicavano seguendo un preciso ordine, attenendosi scrupolosamente alle istruzioni genetiche, organizzandosi per bene in gruppi, accettando di buon grado il destino molecolare che gli era stato assegnato, nel mondo esterno tutto procedeva in senso contrario.
Nel suo microcosmo uterino regnavano ordine e disciplina, là fuori invece c'era un casino intollerabile. Ognuno faceva quel che voleva, a nessuno stava bene niente, tutti pretendevano di cambiare il mondo e perciò protestavano. Contro la guerra, contro il sistema, contro la società dei consumi e perfino contro la noia.
E dire che la nazione aveva in mente grandi progetti per la generazione dei figli dei fiori. Se li prefigurava quarantenni, in casa davanti al televisore, a bere birra e sgranocchiare schifezze pulendosi le dita untuose sulla stoffa del divano. Il genere di cittadini su cui contare, in parole povere. Il futuro della nazione come la nazione lo vedeva e voleva. Invece ci si ritrovò tra le palle un esercito di giovani inspiegabilmente regrediti a forme di convivenza e vagabondaggio tribale, individui che scambiavano il sacco a pelo per una casa, che giravano a vuoto mostrando una preoccupante mancanza di senso del denaro e impegnandosi in attività prive di alcun fine pratico, questo quando facevano qualcosa, perché la maggior parte del tempo lo impiegavano stando appoggiati contro un muro o seduti sull'orlo di un marciapiede o stravaccati in un prato. I più operosi strimpellavano una chitarra oppure ciondolavano con gli occhi cisposi e l'aspetto di chi aveva passato la notte dormendo in un bosco.
Nazione e persone perbene erano schifate dallo stile di vita dei figli dei fiori. I figli dei fiori erano schifati dallo stile di vita di nazione e persone perbene. Nessuno andava d'accordo con nessuno. Un gran casino.
- Questo era il mondo in cui mia madre aveva avuto la bella idea di concepirmi, - aveva detto lui. Il sole era già calato da un pezzo ma continuavano a viaggiare.
Laika aveva seguito il racconto cercando di immaginarsi questa generazione dei figli dei fiori, di figurarsela a mano a mano che lui gliela descriveva. Aveva pensato a persone vestite di stracci, sporche come selvaggi, animalesche come animali, promiscue e viziose come i negri, fuori di testa come gli indiani e sfaccendate come i messicani. Individui indolenti capaci solo di tendere la mano per elemosinare o di muovere il pollice per farsi dare un passaggio. Se li era figurati giovani - ragazzi e ragazze - coi capelli lunghi fino al sedere che giravano nelle loro comunità nudi come bestie tra pidocchi e parassiti, posseduti dal demone di musiche assordanti e inascoltabili, pronti ad accoppiarsi in mezzo al fango non appena veniva loro voglia.
- Fanculo gli anni Sessanta, - aveva detto lui a un certo punto. - Fanculo l'Estate dell'Amore.
© Einaudi 2005
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