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Recensione Aurelio Zucchi Viaggio in V classe
Ritorno al passato
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Non ci si lasci ingannare dal titolo, in quanto non si tratta di un viaggio in treno, le cui carrozze, come noto, prevedono solo due classi, bensì siamo di fronte a un romanzo autobiografico in cui l’autore racconta di una parte della sua gioventù, limitatamente a quella che lo vede allievo, prima della IV, poi della V classe, dell’Istituto Tecnico per Geometri.
Premetto che non ci troviamo di fronte a vicende rocambolesche o picaresche, ma a una banale esperienza scolastica inserita in un preciso contesto sociale (quello del Mezzogiorno) che più incide per le prospettive successive al diploma che per una condotta di vita nel corso degli studi.
Il tutto trae origine dalla decisione improvvisa del padre dell’autore di ottenere un trasferimento della propria attività (è un bigliettaio della locale Azienda Municipale Autobus) a Roma, nell’ottica che nella capitale ai figli siano riservate quelle possibilità e opportunità di lavoro che la città di attuale residenza (Reggio Calabria) non è in grado di offrire. Così tutta la famiglia, piuttosto numerosa, si trasferisce nella capitale, tranne Aurelio, che per motivi scolastici, resta in loco, ospite di una zia, per completare gli studi con il conseguimento del diploma.
Ripeto che la vicenda è del tutto banale, ma la capacità dell’autore riesce a trarne elementi utili per una narrazione che è in grado di interessare e coinvolgere il lettore, soprattutto quello di una certa età, simile a quella dello scrittore, in quanto ritrova certi spunti e momenti di un vissuto che li accomuna, come i primi benefici effetti del miracolo economico italiano e un certo desiderio di autonomia e di libertà che all’epoca andava sempre più affermandosi.
Labilità di Zucchi sta nel raccontare cose normalissime con una grazia che gli deriva dalla sua naturale tendenza alla poesia, con un occhio di riguardo a tutti i personaggi, che sono tanti ( basti pensare ai compagni di classe).
Si constata così che esistevano legami assai forti, cementati in anni di comuni studi, tanti compagni di viaggio, di un viaggio ovviamente metaforico, poiché si tratta del percorso in un itinerario affrancante dagli obblighi della minore età e proiettato
all’ingresso completo nella vita e nel mondo degli adulti.
Si è trattato indubbiamente del periodo più bello per Aurelio, ma anche per tutti, lettori compresi, poiché la gioventù è un
irripetibile sogno di libertà che non avrà più uguali successivamente.
Le passeggiate lungo il mare, le prime uscite in auto, che erano per lo più catorci, la fidanzatina, le feste, gli scambi d’opinione, gli entusiasmi improvvisi, ma anche le cocenti delusioni, che pur tuttavia non lasciavano segni, sono la riscoperta di un passato che tanto prometteva di quello che poi non si sarebbe ottenuto, e giunti a una certa età il solo ripensarvi muove a una malinconica commozione, alla mestizia di un paradiso perduto.
Ecco, Zucchi, nel ricordare quel suo periodo, ha fatto di più di una testimonianza storica, anche se personale; ha infatti fatto riemergere un comune sogno a cui, nei giorni non più verdi, anzi sempre più grigi, è piacevole abbandonarsi.
Da leggere, senza dubbio.
Di Renzo.Montagnoli
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