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Recensione Gianluca Della Monica Il bosco di betulle
Gianluca Della Monica Il bosco di betulle
Gianni trova un biglietto in cui la sua Anna gli dice addio e non riesce a capirne il motivo. Tutto era perfetto, anche intimamente. La conosceva dunque così poco? E dove sarà andata così all’improvviso?
Spera che la casa di montagna possa aiutarlo a riflettere, ma in quel verde incantevole non c’è modo di rilassarsi, anche perché è invaso dai ricordi della nonna adorata.
Anche della nonna, per un periodo, si erano perse le tracce. Per essere stata una sovversiva e per aver protetto suo figlio, renitente alle armi, fu deportata in un campo di sterminio. Clara, però, era di una bellezza tale che nelle fabbriche sarebbe stata sprecata, venne quindi destinata ai bordelli degli ufficiali tedeschi.
Avrebbe preferito essere uccisa o mangiare il cuore dei suoi aguzzini pur di non cedere agli “pseudouomini”, ma le sue compagne di cella la invitarono a riflettere: “Se ti mettono in un forno, come farai a riabbracciare tuo marito?”
Dolce come la vaniglia, fresco come la menta, intenso e pungente come il cedro. Ecco com’è “Il bosco di betulle”.
Sulla guerra è stato detto molto, ma nei libri si parla sempre poco delle donne.
IL BOSCO DI BETULLE - Der Birkenwald - Un giorno sarà l'unico testimone vivente
Edizioni Lampi di stampa - Codice isbn 978-88-488-1263-4 - Pagine 136 € 10,00
Ordinabile senza spese di spedizione in qualsiasi libreria o via email all'indirizzo mail@ilromanziere.com
L'incipit del romanzo:
Del buio non ci si può fidare, ma bisogna averne rispetto. Per questo aprii la porta d’ingresso senza bruschi strattoni. Proprio per rispetto. E per meglio cogliere quell’odore di un tempo: un misto tra naftalina e olio di mandorle dolci. Con mia grande gioia, era ancora lì e fece ripartire ogni ingranaggio della mia mente, senza nemmeno un lieve cigolio.
La memoria è uno strano marchingegno: alcuni ricordi sono una carezza sul cuore; altri diventano vere e proprie unghie nella carne. Due sensazioni che in quel momento provavo contemporaneamente. Il risultato era un logorante senso di smarrimento.
In quella casa avevo imparato che alcune esperienze ridestate possono essere così dolorose, che talvolta è preferibile dimenticarle. Se invece ci si vuole convincere di una realtà contraffatta, la memoria diventa uno scudo, una forma di autodifesa, che rende tutto più semplice. Basta negare una reminescenza infelice e sostituirla con un’altra più rassicurante. “Ma rimuovere i ricordi servirà a tenerli a bada per sempre? Il tempo cancellerà proprio ogni traccia? Ed è lecito mentire a se stessi?” mi ero sempre domandato. Non sono mai riuscito a darmi una risposta, ma di una cosa ero certo: la coscienza saprà tollerare, poiché potrebbe essere l’unico modo per salvaguardare il futuro. Il mio cuore, però, non dimentica.
Quando accesi la luce, il pavimento di mattonelle color ocra, la madia antica e la mensola su cui poggiava la tazza di ceramica, dal cui manico pendeva un rosario di madreperla, mi apparvero come se da quel luogo non mi fossi mai allontanato. Sembrava che persino la polvere ne avesse avuto riguardo.
Al piano superiore, osservando il grande letto con la testiera in ferro battuto, mi domandai: «Dormirò qui o nella solita cameretta?»
Aprii la finestra e spinsi all’esterno le persiane di legno. Mi abbandonai al piacere di respirare, mentre un profumo di erba appena falciata si riversava nella stanza.
Di lisa_fuente
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