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Recensione Sacha Naspini

Sacha Naspini

I sassi

Sacha Naspini I sassi
Sacha Naspini I sassi

In fondo ogni uomo è una pietra, a suo modo. Ogni vita lo è. Le vite sono come i sassi, rotolano una accanto all’altra, cozzano, si rompono in frammenti; e i frammenti si scontrano con altri frammenti… Ogni vita è ricordo e possibilità di un’altra vita. Una vita può raccontare altre vite, o esserne il riassunto. Riassunto di un’identità, dove si capisce cosa porta qualcuno alle proprie scelte, cosa le comanda, se davvero esiste un libero arbitrio al di là del vortice dove ogni giorno ruotiamo di moto proprio, sulla spinta di altri moti che ci hanno toccato prima, che ci toccheranno…


 


Spesso si considerano i noir romanzi di pura evasione, ma mai si pensa di associarli ad altri non di genere e che per qualità rientrano di diritto nella buona letteratura.


Penso che questa omissione dipenda dal fatto che la trama è spesso, per non dire quasi sempre, l’elemento essenziale dell’opera, mentre altri aspetti, comunque importanti, sono meno curati, quando addirittura trascurati.


Non è così per I sassi, di Sacha Naspini, che non voglio considerare un semplice noir, pur essendo presenti tutte le caratteristiche di questo genere, in una storia complessa che se parte lentamente poi accelera gradualmente al punto da tenere letteralmente incollato il lettore. E del resto della vicenda non intendo parlare, di questa storia narrata in epoche alternate e con una conclusione degna di un maestro della penna.


Quello che invece mi preme evidenziare è l’aspetto letterario dell’opera, perché c’è qualità, e non poca, nelle 149 pagine di questo romanzo, aspetto tanto più rilevante ove si consideri la giovane età dell’autore, nato nel 1976. Alla base c’è una formazione culturale di tutto rispetto che consente di esprimere concetti non facili con apparente semplicità e mi riferisco in particolare alla figura complessa della protagonista, intorno alla quale è poi costruito l’intero canovaccio. Infatti ci sono alcune pagine che definirei prioritarie per l’opera e sono quelle in cui lei parla di se stessa al suo interlocutore, per il momento sconosciuto, e nelle quali si delinea sapientemente la sua personalità di bimba adottata che sa di non essere la figlia naturale dei genitori legittimi. Questo stato di appartenenza e di non appartenenza alla famiglia che la ospita, la sua proiezione del senso di solitudine sono pagine di autentica elevata letteratura. L’autore ben sapeva che quella parte del libro era determinante per reggere tutta l’impalcatura della vicenda, una sorta di fondamenta, e infatti non ha risparmiato negli elementi di sostegno, con una caratterizzazione di pregevolissima fattura.


Mi corre anche l’obbligo di evidenziare come l’atmosfera sia stata oggetto di attento studio e che i risultati al riguardo raggiungano livelli di eccellenza, nonostante le evidenti difficoltà di trattare di epoche diverse, di  più luoghi e di situazioni, che, pur concatenate, trovano giustificazione in quanto accaduto anni prima.


La vicenda, come ho già detto, è complessa, la protagonista e anche altri personaggi sono complessi, perché in fondo un essere umano è l’unione di tanti elementi, di qualità e di difetti, di atteggiamenti e di intimi convincimenti. In questo senso Naspini ha delineato delle figure vive, reali, che animano, quasi autonomamente dal suo creatore, l’intera trama. Questa quasi assenza dell’autore, che riesce a essere presente senza che ci si accorga, unita alla capacità di fornire indicazioni non elaborate degli ambienti e delle situazioni consente al lettore di avere una visione propria, di sviluppare la sua creatività, facendolo diventare partecipe. Non è un caso, infatti, se la lettura delle prime pagine, essenziali propedeuticamente, è stata lenta, ma poi è tale il senso di progressiva attenzione, quasi una crescente e ossessiva necessità di conoscere, di scoprire, che il testo viene quasi divorato. Non si riesce insomma a staccare gli occhi dal libro, con una fretta e un’ansia di arrivare in fondo, a quella pagina 149 che, girata, e bianca sul retro, ci fa provare il rammarico di essere giunti al termine.


Allora interviene una pausa di riflessione e ci si ricorda che c’è ancora qualche cosa da leggere, quella prefazione spesso trascurata e che nel caso specifico porta la firma di Walter Serra. Si tratta solo di una paginetta più qualche riga, dove si trova conferma delle sensazioni e delle emozioni, ancora vive e forti, provate durante la lettura del romanzo. Non c’è un moto di delusione, ma si è contenti di trovare conferma, in altra persona, del giudizio ampiamente positivo. Non è finita, però, perché nel foglio successivo è riportata una frase di Daniele Boccardi che dà tutto il senso all’opera, qualora non fosse stata compresa nella sua globalità:


Un bambino non è mai tutto suo padre.


Anche questo è un passo avanti (Genetica).


Leggete questo romanzo e capirete anche perché questa frase non è stata messa lì a caso, tanto per giustificare una pagina in più.

Di Renzo.Montagnoli

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