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Recensione Niccolò Ammaniti Giorni fa, durante un pomeriggio di lavoro un po' lungo, mi ero infilata nell'ultimo libro di Ammaniti, Come dio comanda. Avevo bisogno di qualcosa di poco impegnativo e la scrittura di Ammaniti è agevole per cui mi ero ritrovata un pezzo in là in un solo pomeriggio. L'impressione era "Niente di che, la solita roba di Ammaniti". Ti descrive i personaggi, tutti mediamente falliti. Tutti ad un livello di miseria quasi infima, sia che si tratti di miseria intellettuale, culturale, economica o morale. Tu non devi fare niente, ti trovi lì come a guardare le foto scattate durante le riprese di un videoclip. Tutto ti scorre davanti agli occhi e va veloce mentre te ne stai fermo sul divano. Specie da un certo punto in poi. Perché prima sfilano i personaggi, che si affacciano e ti si stampano in testa. Poi la scena prende vita e comincia il teatrino. Avevo lasciato i personaggi appena prima che tutto prendesse il via e dopo qualche giorno ho ripensato a quei disperati che mi eran comunque entrati dentro. Perché Ammaniti te li mostra e te li racconta con una cura per cui o ci trovi un pezzo di te stesso o di qualcuno che conosci ed inevitabilmente ti stanno simpatici. Non si fa alcuna fatica a leggere Ammaniti. Primo perché non devi sforzarti di immaginare nulla, ti dice tutto lui. Poi perché se hai già letto altro di lui sai che funziona come sulle montagne russe. Il problema è che il circuito dopo il primo giro si ripete. Certo, quando si va giù a rotta di collo ti spaventi ugualmente, ma già al secondo giro te lo aspetti, sai che dopo la salita si schizza giù in picchiata. E dunque pensi che il canovaccio è il solito dell'ultimo capodanno dell'umanità, di ti prendo e ti porto via... una sorta di coro che alla fine canta tutto insieme. I personaggi stanno lì miseramente e a un tratto hanno il barlume del cambiamento, di una sorta di redenzione, attraverso qualcosa che cambierà loro la vita. Il piano che hanno in testa è una mezza follia per chiunque abbia cervello, ma è meglio, è meglio se è strampalato e destinato al fallimento, perfetto se fuori di testa. Ammaniti muove le marionette e le porta tutte a un pelo dalla svolta mentre ti dici che il piano fallirà. Ma la svolta non accade mai. Perché il disegno del grafico delle trame di Ammaniti è fatto così: livello basso di partenza, salita quasi verso il massimo e breve interruzione, si riscende un pelo e poi invece si schizza verso il picco dopo di che c'é la discesa libera. Il cattivo è sfigato perché se riacquista un barlume di buonsenso ci penseranno gli eventi a far andare tutto a scatafascio e quello che gli succederà a quel punto sarà pure peggio dei casini in cui avrebbe potuto mettersi. Il buono è sfigato perché speri sempre che si salvi ma all'ultimo TRAC ci rimette le penne. E tutti insieme a precipizio vanno verso la fine, distrutti tutti. Fine. E ha vinto il Premio Strega. Ovviamente scrive benissimo, non gli pende un pelo, si direbbe qua. Te li vedi proprio, più o meno stereotipati, ben descritti, scavati quel tanto che basta. Però mi sa di già collaudato. Di ritorno a "Fango". Mentre "Io non ho paura" era una svolta. Ma come mai questa specie di recensione? Ah sì. Perché leggere Ammaniti mi fa sempre girare l'anima. Perchè non c'é verso, il messaggio che mi lascia è sempre schiacciante: non esiste alcuna via di fuga, nessun riscatto possibile. Di gianpaolo.mazza
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