Biografia Jean Cocteau |
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Jean Cocteau: per interi decenni figura emblematica del dandy negli anni Venti. Amico di tutti gli artisti della Parigi dell'epoca, da Derain a Picasso, da Matisse a Man Ray, seppe farsi ben presto un nome nell'ambiente della buona società accompagnando i ricchi borghesi a visitare gli atelier dei vari pittori, anche se questi ultimi non erano troppo d'accordo. Molto chiaccherata la sua relazione col giovanissimo Raymond Radiguet, scrittore in erba che Cocteau coltivava strenuamente dicendo d'aver scoperto un grande artista. Radiguet scrisse alcuni racconti, un romanzo ("Il diavolo in corpo"), e vendette alcuni suoi disegni, prima di morire tragicamente. Cinque anni dopo Cocteau, già oppiomane, dopo la morte di Raymond entrò in una clinica per disintossicarsi, e ci rimase per un lungo periodo, scrivendo "Oppio", sorta di diario in cui ritrova la condizione visionaria poetica che al tempo ispirò Rimbaud e Baudelaire; Cocteau non ama disintossicarsi dall'oppio, ma presto si convince del contrario capendo che anche la droga era diventata un dogma, una prigione dalla quale doveva uscire, in un modo o nell'altro; egli infatti stima l'oppio considerandolo, come Baudelaire, una sostanza che per le menti poetiche è mezzo d'astrazione dal tempo e dallo spazio, un meraviglioso modo per viaggiare nel proprio intelletto. Diceva: "Non sono un disintossicato fiero del suo sforzo. Mi vergogno di essere cacciato da un mondo davanti al quale la salute sembra ai brutti film in cui dei ministri inaugurano una statua"; e, a fine cura: "Guarito, mi sento voto, povero, scorato, malato, ondeggiato. Esco dopodomani dalla Clinica. Uscire dove?".
Poeta, scrittore, pittore, regista cinematografico e teatrale, scrisse drammi e balletti, spesso musicati da Igor Stravinsky (1882-1971), o da qualcuno del 'Gruppo dei Sei', una associazione di sei giovani musicisti (Darius Milhaud, Georges Auric, Francis Poulenc, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Louis Durey) in opposizione sopratutto alla musica espressionista, ispirati musicalmente da Eric Satie e poeticamente dallo stesso Cocteau, che scrisse anche il libro che viene tuttora guidicato il loro manifesto: "Il gallo e l'arlecchino".
Cocteau, con una pettinatura alta e anticonvenzionale, dedicava particolare cura alla camicia che, esigendola senza pieghe sullo sparato, faceva applicare dal proprio sarto un bottone al fondo di questa, che abbottonava tra le gambe; anche alla giacca dedicava cure specifiche, e famoso era il modo che aveva di arrotolarsi in ogni circostanza le maniche, scoprendo così candidi polsini stretti attorno ai suoi magri polsi di oppiomane. Suo è anche il modo di portare l'orologio sopra ai polsini della camicia, vezzo attribuito dai più a Giovanni Agnelli.
In un primo periodo Cocteau, frequentatore assiduo dei salotti più esclusivi di Parigi (divenne ben presto fedele discepolo di Montesquiou), vestiva all'ultima moda, in maniera assai ricercata ed elegante; quando si 'ritirò' dalla vita mondana parigina gettò il frac "alle ortiche" e si fece promotore di un attento dandismo della noncuranza.
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