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Il bracconiere infartuato e il suo camoscio, suonatore di violino (Erri De Luca, Il peso della farfalla, Feltrinelli, Milano, 2009) Il camoscio, orfano ma vincitore, ha ucciso il maschio avversario, e anche l'aquila che volava bassa. Ha una farfalla sul corno. L'odore del bracconiere la "bestia assassina", che ne ha abbattuti trecentosei - rammenta al camoscio la morte di mamma: la sola perduta per sempre, quel giorno, per mano dell'uomo, e del suo fucile. Il bracconiere sa di essere un "vile", di vivere con tanta "bassezza" - con quel suo sparare a chi salta i dirupi: l'angelo caduto che s'invola, come fa il suonatore sulle corde del violino o sui tasti del pianoforte. Fiaccato oramai, col suo cuore di vecchio, il cacciatore di frodo. Anche il re camoscio ha un suo cuore di vecchio, che non pompa pi come prima: e lo si sente, a saltare. Forse sa che il cacciatore, col passare degli anni, ha imparato a fiutare. Un'altra farfalla si posa sul fucile lubrificato: questa volta non coperto di sterco, a occultarne l'afrore di olio. E' un po' come volersi annunciare al camoscio. Un'aquila vede una bestia per terra. Con le zampe le squarcia via il petto; si prende quel cuore, e poi vola gi. Nel silenzio della lettura il quale sempre, per qualsiasi lettore, tiene dietro a qualcosa di eccessivo e chiassoso [un che di mortalmente carnascialesco, come la festa de I vitelloni che ti punta dritta allo sterno come un picchio impazzito di Hitchcock], incontriamo se pure nelle rimembranze del bracconiere canuto quella femmina giovane di camoscio, ammazzata con il suo piccolo. Questi aveva seguito sua madre, mentre ella crollava e cadeva, e poi ancora balzava gi inerte su di un altro dirupo: la rincorse fin che lei stette ferma, dopo avere saltato per l'ultima volta. Quando poi il bracconiere raggiunse la madre, guard bene negli occhi quel piccolo, vicino alla morta, in silenzio; e decise che non guadagnava pi sui camosci, gi a valle (non l'aveva mica visto, il cucciolo, prima di mirare e sparare). E' novembre. Non fa pi rumore quella pioggia, che bassa. L'aria come ovattata, tra i monti. Le sue donne di rado lo hanno seguito fin su, l dove c', sulla cima del bosco, il rifugio con il camino dove lui si riposa con il fuoco acceso. Vive come stambecco, oramai, il bracconiere. E come stambecco, alle volte, si accoppia in paese. De Luca non evoca Hemingway, perch non c' "machismo" nella sua poesia in prosa. Sta agli antipodi anche di uno scrittore come Stefano D'Arrigo, col suo Horcynus orca: quest'ultimo, se si fa il confronto, il romanzo di tutta una vita; quello di De Luca semplicemente l'infarto esiziale: silente come l'ultimo grumo che occlude l'arteria, di netto. E c' meno "mestiere", in questo libriccino, rispetto a un testo, pure assai breve, come Novecento di Alessandro Baricco sebbene anche quel personaggio eponimo, creato dal "musicista" torinese, in fondo era un uomo solo, che se ne stava l a suonare sul bastimento. Ed invero De Luca risulta essere, altres, meno petulante, rispetto a un Valerio Magrelli del Condominio di carne: ch si pu morire in un attimo "cosificarsi" nel gelo con il vecchio camoscio - senza fare patemi su tanti malanni, e pure vivere ancora. Noi sentiamo piuttosto, in questi misurati tocchi di De Luca in queste poche pagine come di salino lacrimare sordo , quel certo tono < Si pu essere simili, dal 1936 al 2009, in letteratura, senza essere scontati, quando i temi sono quelli, e quelli gli odori: le bestie e le colline o le montagne; poi la morte ed il sesso lontano: quelle cose comuni. Si pu camminare insieme dopo pi di settant'anni, fra artisti, fianco a fianco, senza essere sovrastrutturati. E ci accade quando si fa assurgere giustamente - a maestro lo scrittore di Santo Stefano Belbo, il quale incredibilmente, da autore fin troppo la page, finito nel dimenticatoio insieme a Moravia (e assai pi di Tenco), a tutto a vantaggio piuttosto opinabile, secondo noi - di Italo Calvino. Come in Pavese, l'animo di De Luca un po' quello diremmo - di un (ex-)marxista < Quel che, per, si pu e, almeno a parer nostro, si deve conclusivamente osservare, ci che segue: a) se vero, come vero, che in questo romanzo De Luca pedina non poco le orme pavesiane, va tenuto altres presente che, sebbene molto autorevoli e anche al fondo piuttosto ben rivisitate, si tratta, comunque e chiaramente, di orme assai invecchiate; s che tutto potr dirsi, del breve racconto sul cacciatore infartuato e sul vecchio camoscio ucciso, meno che si tratta di un quid di originale per il lettore e il critico del corrente secolo;b) meno che meno, del resto, potr ragionevolmente affermarsi che per cos dire l'"allievo", a pi di un settantennio dalla pubblicazione di Lavorare stanca, superi il "maestro"; perch Pavese s, a differenza di quanto fa oggi il Nostro, dal '36 al '50 seppe sviluppare una sua propria peraltro approfondita - originalit dell'epoca, debitrice al pi di una certa letteratura americana, mentre Il peso della farfalla rimane comunque un breve racconto ben scritto senza fallo, eppure piaccia o meno il sentirlo dire senza tentennamenti di sorta - profondamente scontato, superficiale sino all'imbarazzo, e peraltro logoro e stantio anzichen.Che poi Erri De Luca sia oramai, in Italia e nel mondo, denominato correntemente < |
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