Questo romanzo di Salvo Zappulla, opportuno sottolineare la citazione contenuta nello stesso titolo, come una forma di tributo; di un omaggio a uno dei pi grandi autori del Novecento, che con il suo processo ha messo in risalto l?assurdit di certi meccanismi sociali e la conseguente angoscia da essi generata. In effetti, le atmosfere che Zappulla crea in questo libro denotano ascendenze kafkiane, sebbene rivisitate da una rilevante verve umoristica e rese -peraltro- con stile fluido, personaggi grotteschi e trama avvincente condotta con levit fiabesca. Ne viene fuori un?opera tragicomica di stampo fantozziano (mi si consenta l?uso del termine). Del resto ho sempre visto Fantozzi come una derivazione del tipico personaggio kafkiano, una sorta di uomo-insetto che (in chiave tragicomica, appunto) cerca di barcamenarsi tra le ingiustizie -spesso arcane- della vita e del sistema sociale. Fallendo. Miseramente fallendo. Ma un fallimento che contiene, paradossalmente, il germe di un?indomita denuncia. In effetti anche la trasfigurazione della realt che ci offre Zappulla in questo libro nasconde intenti di denuncia. Denuncia di certi meccanismi insiti nel sistema editoriale, delle aspettative -a volte fini a se stesse- di chi scrive, della facilit con cui chi scrive -spesso- viene massacrato con giudizi pi sommari dei peggiori processi della storia. Una denuncia che fa sorridere. A volte con amarezza. Altre volte di gusto. Una denuncia, per, che lascia aperti spiragli di speranza che filtrano tra le pieghe del commovente -anche se un po? rassegnato- abbraccio finale tra l?Autore e il suo Lettore. |