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Il dilemma di Primo Levi
---------------------- Due scrittori, assai noti (Primo Levi aveva gi scritto e pubblicato Se questo un uomo e La tregua, Ferdinando Camon, bench pi giovane, era gi conosciuto per Il Quinto Stato, La vita eterna, Occidente e Un altare per la madre), si incontrarono nei primi anni 80, per la precisione il primo contatto diretto avvenne nel 1982 a Torino, citt in cui Primo Levi era nato e risiedeva; ce ne furono successivamente degli altri, tanto che lultimo fu nel 1986. Quella che doveva essere unintervista di Camon a Levi divenne una vera e propria conversazione, che pur obbedendo a una scaletta di domande predisposte dal primo e concordate con il secondo, si rivel uno scambio di opinioni di grandissimo interesse. Deve essere dato atto a Ferdinando Camon di aver ben interpretato i desideri dei lettori, pi che mai curiosi di conoscere qualche cosa di pi di questo grande autore, testimone e vittima della Shoa, per sua natura persona assai umile e che ha sempre cercato di parlare attraverso le sue opere. Ma cosa spinse Camon a contattare Levi per intervistarlo? Questa la prima domanda che ho rivolto allo scrittore padovano che mi ha risposto, come sua consuetudine, in modo esauriente e senza reticenze. Mi ha detto che era stato spinto da un complesso di colpa, in quanto figlio di quella civilt dellEuropa occidentale che nel tempo ha preso di mira gli ebrei, con un lavorio di esclusione durato diversi secoli e giunto al suo culmine con la follia nazista volta al loro sterminio. Beninteso questo senso di colpa una radice che uno si porta appresso per atti compiuti, magari molto tempo prima che nascesse, dal mondo di cui fa parte, da una civilt che si crede esemplare e che invece nasconde in unatavica avversione per gli ebrei, un nocciolo di incivilt ancor oggi difficilmente scalzabile, atteso un serpeggiante dilagare dellostracismo per tutti quelli che non ne sono membri. Come dice Camon, per lui andare da Levi era come andare a Canossa, e forse ha avvertito tanto di pi questo senso di colpa in quanto cristiano e anche cattolico, proprio per la constatazione che il far parte di un credo religioso porta inconsciamente a vedere gli altri, cio quelli di fede diversa, come degli estranei. E stato per fortunato, perch Levi s era ebreo, ma non praticante, anzi non credente, per quanto in lui ci fosse una continua ricerca che andava oltre lumana comprensione dellOlocausto, ma anche di una relazione fra questo e un eventuale Entit superiore. Quando a conclusione della conversazione Levi dice C Auschwitz, quindi non pu esserci Dio, aggiunge poi a matita sui foglio sui quali la stessa trascritta Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo evidente che luomo era impegnato in un logorante, ma anche angosciante tentativo di dare una risposta logica, razionale, che andasse oltre latto di fede, in pratica una certezza che per lui e per noi del tutto impossibile. Questa conversazione, in cui si misurano due intellettuali di diversa matrice religiosa, stata ben orientata in nove temi, svolti con scambio di opinioni, non sempre coincidenti, e che inducono il lettore a riflettere, magari esponendo un pensiero anche dissimile, tanto che pi di una volta, e questo accaduto a me, nasce proprio la voglia di potersi inserire nel colloquio che non risulta di un asettico accademismo. Il diavolo nella storia, La colpa di essere nati, Cosera il lager, La Germania allora e ora, Perch scrivere, Lager nazista e lager comunista, La nascita di Israele, Le opere, Luomo e la chimica, sono questi gli argomenti su cui si svolta la conversazione e, se pur non si arrivati a conclusioni di verit assolute, lo scambio di pareri, le osservazioni puntuali e razionali a cui sempre stata improntata costituiscono un contributo importante che, senza arrivare a conclusioni certe e definitive, pur tuttavia rappresentano un arricchimento di cui tutti possono beneficiare. In fondo ci troviamo di fronte a due persone che non desiderano imporre le loro idee, ma che vogliono solo capire, e questo laltro aspetto di pregio di questo libro, perch alla fine non ci sono n vinti, n vincitori, ma si resta consapevoli che qualche cosa si fatto, che un altro passo verso la conoscenza si compiuto. Devo dire che mi sarebbe piaciuto poter intervistare Levi, ma non credo proprio che avrei potuto dare vita a una conversazione cos interessante come invece ha fatto Camon e limpressione che alla fine si ritrae che questi due uomini, di estrazione diversa, sono pi simili di quanto non si possa immaginare e pagina dopo pagina piacevole lasciarsi condurre quasi per mano da entrambi in un percorso altamente gratificante e che porta a una grande sensazione di serenit, la stessa che si raggiunge quando si consapevoli di un accrescimento del proprio patrimonio culturale. Per quanto ovvio, Conversazione con Primo Levi sicuramente e ampiamente raccomandabile. Renzo.Montagnoli
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