 L'opera di Manzoni risulta, ancor oggi, un esercizio di antropologia, l'anatomia dell'anima. I versi giovanili o gli "Inni sacri" sono un diario stenografato di umori e di tenerezze sussurrate; le odi, le tragedie "Adelchi" e "Il conte di Carmagnola" narrano come quelle stesse verità del cuore siano votate al dolore e al fallimento. Si capirebbe, tuttavia, poco della poesia e della tragedia di Manzoni se non si mettesse bene al centro della tela quella principale scoperta: la storia, la radicalità del male. I vinti, per Alessandro, non hanno diritti, non hanno racconto. Manzoni, come Goethe, studia e medita per delineare una letteratura civile ed europea, capace di giustificare l'assurdità del mondo. E come Flaubert crede che qualsiasi mediocrità delle cose abbia il suo ordine nel sistema perfetto e morale di una nuova lingua, che vuole raccontare tutto ciò che è rimasto silenzioso e taciuto. Così "I promessi sposi", i discorsi sulla storia, le lettere ai cari amici diventano il sogno di un uomo che sembra salvare poco di se stesso quanto più fornisce gli strumenti intellettuali e spirituali per salvare il mondo intero. È in questo squilibrio la modernità e la classicità di Alessandro Manzoni. |