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Recensione Daniel Pennac Intervista
Fabio Gambaro intervista Daniel Pennac
Tratto da “la Repubblica”, 13 giugno 2002
"I miei romanzi hanno sempre bisogno di tempi lunghi", spiega l´autore della Fata Carabina, " li concepisco e li scrivo molto lentamente. Non scrivo di getto, avanzo piano, cerco le parole una per una, sforzandomi di produrre sulla pagina quell´impressione di spontaneità che in realtà non possiedo assolutamente. La scrittura è un lavoro difficile e faticoso, anche se naturalmente non voglio paragonare la mia situazione con quella di chi veramente soffre sul lavoro. So benissimo che lavorare in fabbrica è molto peggio, e anzi sarebbe ora finirla definitivamente con il mito dello scrittore sofferente e sfinito. Detto ciò, è però vero che la scrittura di un romanzo m´impegna a fondo e mi richiede molto tempo".
Qual è il motivo di tanta lentezza?
Perché dubito di continuo del mio lavoro, non sono mai sicuro di niente e ogni volta mi rendo conto che in questo mestiere non si capitalizza nulla: le migliaia di pagine già scritte non mi servono quasi a niente al momento di iniziarne una nuova. Si ricomincia sempre da capo e la scrittura romanzesca è sempre una scommessa. In fondo, scrivere un romanzo è un gesto fondamentalmente gratuito, proprio perché si tratta di un´opera d´invenzione. Così, ogni volta devo scommettere che quest´atto gratuito abbia un senso non solo per me, ma anche per il lettore. Naturalmente, la scommessa non sempre funziona. Non a caso, butto via molto di quello che scrivo, proprio perché ho l´impressione che sia privo di tale senso. Sulle prime 200 pagine della prima versione della Fata Carabina, ne ho conservate solo 15. Ancora di recente ho abbandonato un lavoro in corso, perché mi sembrava un testo troppo dimostrativo e noioso. E io ho orrore dei saggi travestiti da romanzi.
Nonostante i dubbi e le difficoltà, sente sempre lo stesso bisogno di scrivere che provava agli inizi della carriera?
Certo. Innanzitutto, scrivo per finirla con me stesso, giacché la scrittura è sempre il tentativo di trasformare la propria soggettività in oggettività. Questa necessità di scrivere è presente in me come un appetito biologico, una fame da saziare, anche se poi cambiano i gusti e le forme. Ad esempio, il libro che sto scrivendo in questo momento non ha nulla a che vedere con la serie dei romanzi di Malaussène: sono diversi i temi e la tonalità, come pure i personaggi e la situazione geopolitica. Tuttavia, la necessità che mi spinge a scrivere è la medesima che ha fatto nascere i libri precedenti, cambiano solo le forme. Queste evidentemente sono determinanti per il lettore, motivo per cui m´impegno sempre a fondo sul piano dello stile e della scrittura, in nome di un romanzo le cui componenti non siano immediatamente percepibili da chi legge. Non mi piacerebbe, infatti, che uno dei miei romanzi fosse riassumibile in poche parole.
Dieci anni fa, con Come un romanzo, lei ha proclamato i diritti del lettore. Oggi le sembra una battaglia vinta?
Sul piano del discorso, sembrerebbe di sì, giacché nessuno mette più in discussione il principio del piacere della lettura. Nella pratica, tuttavia, le cose stanno diversamente e c´è ancora molto da fare. I diritti del lettore sono diventati una sorta di banalità, tutti ne parlano e li difendono, ma non è detto che i comportamenti delle persone siano veramente cambiati. Personalmente, tali discorsi mi interessano solo se poi modificano i nostri atteggiamenti, se invece alimentano solo dichiarazioni roboanti e commenti intelligenti sono allora inutili. Nella vita come nella letteratura non bado alle dichiarazioni d´intenti e ai sistemi di valori, guardo esclusivamente i comportamenti e le azioni delle persone. Quindi, sul piano della lettura, è inutile che un genitore dica a un bambino di andare a leggere nella sua stanza, se poi lui se ne sta a guardare una partita di calcio in televisione.
Oggi, se dovesse riscrivere un libro del tipo di Come un romanzo, su quale tema le piacerebbe intervenire?
Un tema che mi sta molto a cuore è quello della responsabilità personale. Mi sembra un dato essenziale per l´avvenire della società. Non si può continuamente scantonare, dando sempre la colpa agli altri, alla società, al sistema, ecc. Nessuno si assume mai le responsabilità dei propri errori. E ciò mi sembra gravissimo. In Francia, è accaduto anche durante le recenti elezioni presidenziali. Dopo lo choc del successo di Le Pen al primo turno, tutti si sono sentiti vagamente in colpa, ma ciascuno ha cercato di scaricare sugli altri la responsabilità del risultato. Nessuno che facesse un po´ di autocritica o che ammettesse i propri errori. Purtroppo questo è un atteggiamento molto diffuso dappertutto. Ecco perché diventa urgente tornare ad assumerci le nostre responsabilità personali, qualsiasi sia la nostra attività.
E’ preoccupato per il risultato dell´estrema destra?
In fondo, sappiamo da tempo che in Francia la base elettorale dell´estrema destra oscilla tra il 10 e il 15%. Poi però si confondono gli elettori con i partiti. Così, quando tempo fa il Fronte Nazionale ha attraversato un periodo di crisi si è pensato che il problema fosse risolto. Invece, i suoi elettori erano ancora lì e sono tornati a votare Le Pen, che resta un personaggio molto mediatico. Detto ciò, mi sembra che la reazione dei francesi sia stata salutare. I giovani hanno scoperto che la democrazia non è un regalo che ci è dato per sempre, ma un´istituzione fragile che deve essere protetta e difesa attraverso la partecipazione di tutti. Anche perché la democrazia contiene in sé gli strumenti che possono eventualmente condurre alla sua sospensione, e nella storia passata non mancano gli esempi di dittatori che hanno preso il potere per via democratica. Bisogna quindi essere vigilanti e partecipare. Si tratta ancora una volta di prendersi le proprie responsabilità.
Per uno scrittore cos´è la responsabilità?
Sul piano personale è ad esempio il tentativo di non utilizzare la scusa della scrittura per trascurare la famiglia e gli amici. So bene che il mito dello scrittore è costruito proprio sull´immagine di un individuo solitario che non deve essere assolutamente disturbato. Personalmente, è un mito che rifiuto, perché non sopporto gli artisti che antepongono il loro lavoro ai bisogni delle persone che stanno loro attorno. Come pure non sopporto coloro che sono disposti a tutto pur di arrivare al successo. Per me, il "cattivo" è sempre colui per il quale il fine giustifica i mezzi. Un atteggiamento che io condanno sempre, perché anche il più nobile dei fini non deve mai giustificare mezzi infami.
E sul piano della scrittura esiste la responsabilità?
Per quanto riguarda la responsabilità politica, direi che questa consiste nel cercare di rendere conto della complessità e delle contraddizioni della propria epoca, qualunque siano le forme e i generi adottati. Inoltre, uno scrittore deve sempre lavorare al meglio delle proprie capacità, proprio come i bambini a scuola. Ciò significa, ad esempio, che deve evitare di pubblicare libri scritti in fretta e poco rifiniti, solo per poter tornare in libreria più velocemente e sfruttare il successo ottenuto in passato. I libri devono poter maturare e uno scrittore deve sempre cercare di dare il meglio di sé... come per altro dicono tutti i giocatori di calcio prima della partita (ride). E in ogni caso un romanziere deve scrivere opere meno noiose delle risposte che dà durante le interviste! (ride di nuovo).
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