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Recensione Boris Akunin Approfondimento su Boris Akunin
Si può osservare come nella critica russa contemporanea sembri scomparire il settore intermedio, analitico di ampio respiro, sufficientemente divulgativo ma altrettanto professionale; alla critica accademica, o comunque di alto profilo specialistico-scientifico (pressoché assente nel caso di Akunin) sempre più si contrapone una produzione aggressiva, di stampo giornalistico-accusatorio, virulenta, affilata, spregiudicata e spesso criptica nel linguaggio e nello stile, assolutamente non costruttiva, non utile né ad una comprensione analitica, né ad uno sforzo sintetico, e tendente piuttosto a un'autoaffermazione, autoespressione edonistica e compiaciuta (fenomeno del resto ben noto in Occidente). Ne straboccano le pagine di Internet, per chi volesse approfondire le fantasiose interpretazioni del rapporto di Akunincon la storia patria. Conviene però dar credito all'autore: l'ambientazione dei romanzi risponde a una sua particolare sensibilità nei confronti della storia in generale, e del dato periodo in particolare; ma, soprattutto, è lo sfondo che gli consente di sbizzarrirsi nella maggior varietà di generi, attivando lo strumento privilegiato di quel contatto con i lettori che è elemento fondante della sua opera: base di una ricezione attiva, 'creativa' da parte del pubblico, e fulcro del suo manifesto letterario. Akunin, per sua ammissione, aspira a colmare una lacuna, creando un tipo di letteratura qualitativamente nuovo per la Russia: di intrattenimento, leggera, scritta però in modo professionale, nel rispetto delle leggi e dei canoni della 'grande letteratura', senza ciarlatanerie, indulgenze o concessioni, insomma: senza quel disprezzo per il lettore che contraddistingue molta letteratura di massa di bassa lega.
Se Fandorin, eroe positivo, dopo il primo romanzo (l'unico in cui sia evidente una sua evoluzione) rimane più o meno uguale a se stesso, prevedibile, sempre nuove sono le altre figure, soprattutto i cattivi di turno, autentici protagonisti: coloriti truffatori, ladruncoli, ambigui terroristi, titanici indemoniati posseduti, come Grenouille nel Profumiere di Patrick Süskind, da folli sogni di mostruose bellezze. Se il soggetto costituisce un livello autonomo, sufficiente a trascinare il lettore verso la soluzione finale, non v'è però dubbio che il maggior fascino di Akunin risieda nella capacità di calare le sue trame in una forma stilistica e linguistica originale e, quel che più conta, sempre nuova. Come si è visto, la serie su Fandorin offre una «degustazione» di tutti i classici del genere criminale-poliziesco; e tale ricchezza formale si sostanzia di una raffinata ricerca stilistica, che sconfina dai canoni piuttosto angusti del genere. Fondamentale risulta una forma particolare di straniamento, variamente presente in quasi tutti i romanzi. Talora si tratta del punto di vista del narratore, di norma un individuo lontano da Erast Petroviã per educazione, età, cultura, che propone una propria lettura della vicenda; l'artificio è doppiamente efficace, perché dà vita a un ritratto psicologico forte del personaggio, e al tempo stesso crea un ulteriore coinvolgimento del lettore, costretto a 'tradurre' la narrazione, a trasferirla su un piano di maggiore obiettività, a indovinare la realtà dietro l'interpretazione soggettiva del narratore, falsata dalla sua peculiare visione del mondo. Pensiamo a Varvara, fanciulla emancipata dei mitici anni Sessanta dell'Ottocento russo, a cui è affidata la narrazione in Tureckij gambit O alla voce narrante in Koronacija , il maggiordomo Afanasij Zjukin, parente stretto dello Stevens in Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro, che racconta la truculenta storia dall'interno del suo ristretto orizzonte, trasferendo agli eventi priorità e valori che sono del suo mondo, riflessi nel linguaggio forbito e involuto. In Leviafan la struttura si complica: il filtro è un gruppo quantomai eterogeneo di individui (un samurai giapponese, un detective francese, un inglese pazzo, una furba donnetta, una zitella arricchita) che raccontano, ciascuno a suo modo, i fatti.
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