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Recensione Banana Yoshimoto

Banana Yoshimoto

Sly - Le prime pagine

le prime pagine
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SUGGESTIONI, UNA BELLA ALBA GIAPPONESE

Ricordo stranamente bene quel pomeriggio. Il giorno dopo la festa a casa di Takashi.
Il tempo era sereno e dalla finestra si vedevano il cielo azzurro e la luce. In un soggiorno, buio rispetto all'esterno, qualcosa era nato tra di noi segnando nello stesso istante l'inizio e la fine di un periodo.
Ricordo bene che anche se partecipavo alla conversazione, il mio animo errava e fissava i raggi del sole che danzavano al di là della finestra della cucina nello stesso modo in cui si osservano degli esseri animati.

Questa è la storia da me vissuta di un viaggio durato una decina di giorni soltanto. Un viaggio che, proprio come mi aspettavo, non aveva portato alla conclusione di niente e non aveva goduto di slanci particolari. Io e i miei compagni avevamo semplicemente vagato da un posto all'altro trascinati dalla bellezza del panorama. Senza mete né speranze. C'erano stati, comunque, anche istanti in cui avevo percepito la presenza di qualcosa di bello, di straordinario. Questo è il breve racconto in cui parlo di ciò che è accaduto.

Quella notte, a casa di Takashi, c'era stato un continuo andirivieni, una quindicina di persone in tutto. Per lo più gente che non vedevo da quasi cinque anni. Avevo mangiato e bevuto di tutto e, brilla dopo tanto tempo, avevo passato la notte senza dormire.
Verso l'alba erano andati tutti a casa, eravamo rimasti solo io che lavavo i piatti e mettevo in ordine, e Hideo che aveva cucinato l'intero menu della serata. Tutto indaffarato a distribuire gli avanzi a quelli che tornavano a casa perché li mangiassero il giorno dopo.
Quella sera la ragazza di Takashi, Mimi, non era rientrata a casa, con mia grande sorpresa. Infatti quella era la festa d'inaugurazione della vecchia casa in puro stile giapponese dove avevano traslocato il mese prima, così mi avevano detto.
A questo punto vorrei parlare dei rapporti che legavano me e Hideo a Takashi.
Io ero stata la sua prima ragazza-donna. Nel senso che lui, in origine, era uno di quelli cui piacciono soltanto gli uomini. Mi ero messa con lui a diciassette anni, più o meno dieci anni prima. Avevamo vissuto insieme a lungo e poi ci eravamo lasciati.
Anche Hideo era stato con Takashi, che aveva conosciuto quando gli aveva arredato l'interno del negozio che gestiva. Takashi, però, l'aveva lasciato dopo essersi seriamente innamorato della seconda donna della sua vita, la pittrice Mimi, con cui ora viveva. La cosa risaliva a tre anni prima, se non sbaglio.
Io, Hideo e Mimi, forse perché avevamo tutti e tre uno splendido carattere, forse perché eravamo egoisti e ce ne infischiavamo di tutto all'infuori di quello che avevamo davanti agli occhi, forse perché avevamo più o meno la stessa età e facevamo dei lavori simili, o forse ancora perché avevamo instaurato ciò che si può definire una vera amicizia, avevamo un ottimo rapporto e ci frequentavamo normalmente.
Con questo non voglio dire che nel profondo non avessimo mai avuto momenti di confusione; il tempo però aveva risolto ogni cosa. Senza quasi rendercene conto ci erano restati soltanto la gioia di avere incontrato persone affini e il piacere di un confronto sincero.
Mentre lavavo i piatti e li rimettevo al loro posto, avevo chiesto a Takashi un'infinità di volte: "E Mimi, che fine ha fatto?". La domanda era diretta, eppure lui aveva continuato a rispondermi in modo vago: "Dovrebbe tornare, credo," oppure: "Non so, dormirà in atelier".
Ciononostante io e Hideo ne avevamo parlato alle sue spalle ed eravamo giunti a una conclusione: "Avranno sicuramente litigato!".

Quando finimmo di riordinare tutto, il cielo a levante cominciava a schiarirsi.
"Usciamo in giardino e ci mangiamo la gelatina di fragole che ho dimenticato di tirare fuori ieri sera?" aveva proposto Hideo; li avevo preceduti e, in un primo tempo sola, mi ero sdraiata sull'erba fredda a osservare i colori dolci del cielo.
Nel giardino della casa c'era l'albero della canfora e il mattino, passando attraverso le cascate di rami flessi e il verde delle fronde fitte, era arrivato all'improvviso con una vitalità incredibile insieme alla luce e al vento. Con del rosa, del blu chiaro e dell'oro. Per me, la combinazione di colori più intrisa di speranza su questa terra.
Faccio la disegnatrice di gioielli.
Nel mio lavoro spesso mi capita di creare oggetti che abbiano come tema l'alba. Con varie pietre e metalli, oro, tormaline rosa, ametiste e topazi blu, cerco di esprimere quella sensazione di speranza. Eppure, nella realtà l'alba è talmente prepotente, immensa e ricca di colori dolci e delicati che i miei flebili sforzi finiscono col diventare penosi.
Takashi mi aveva raggiunto e si era seduto vicino a me, poi era arrivato Hideo con una terrina intatta di gelatina.
Dimenticata nel frigorifero, si era ghiacciata per metà; dentro aveva delle fragole intere ed era trasparente. Con quel suo aspetto algido, era il cibo più adatto per quel momento. In silenzio, seduti uno di fianco all'altro, mangiavamo la gelatina e bevevamo passandoci una bottiglia di champagne avanzato, osservando il cielo di Tokyo schiarirsi.
I raggi di luce mattutina che colpivano le guance bianche di Hideo, la forma affusolata delle dita delle mani virili di Takashi che sbucavano dai polsini, la percezione della rugiada che dalla terra morbida sotto l'erba saliva per la schiena, la brezza piacevole che se fosse stata appena più fresca sarebbe diventata fredda: tutto era troppo perfetto, tanto che all'improvviso mi ero commossa.
I miei amici, senza fare commenti sulle mie lacrime, guardavano il cielo e gli alberi con uguale sentimento.
Sino ad allora, molte, moltissime volte avevo creduto che non fosse possibile vivere istanti più appaganti di quello presente.
Una situazione nella quale convivevano due sensazioni: una che il mondo fosse una costruzione di legno duro, durissimo, l'altra che fosse un fiore profumato che cambia in continuazione la sua forma delicata...
Poi il cielo si era rischiarato in maniera uniforme, e una banale mattina aveva fatto la sua comparsa. A noi era venuto sonno, ma troppo stanchi per tornare alle rispettive case, avevamo ottenuto da Takashi il permesso di stendere dei futon nella camera degli ospiti e ci eravamo addormentati.


© 1998, Giangiacomo Feltrinelli Editore

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