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Recensione Mario Vargas Llosa

Mario Vargas Llosa

La festa del Caprone - Le prime pagine.

le prime pagine
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Capitolo primo


Urania. I genitori non le avevano fatto un favore; il suo nome dava l'idea di un pianeta, di un minerale, di tutto tranne che della donna snella e dai tratti sottili, dalla carnagione bruna e dai grandi occhi scuri, un po' tristi, che lo specchio le rimandava. Urania! Ma che bella invenzione. Per fortuna più nessuno la chiamava così, ma Uri, Miss Cabral, Mrs Cabral o Doctor Cabral. A quel che ricordava, da quando era venuta via da Santo Domingo ("O meglio, da Ciudad Trujillo", quando era partita non avevano ancora restituito il suo nome alla capitale), né a Adrian, né a Boston, né a Washington D. C., né a New York, nessuno l'aveva più chiamata Urania, come prima a casa sua e al Colegio Santo Domingo, dove le sisters e le sue compagne pronunciavano in modo ultracorretto l'insensato nome che le avevano inflitto alla nascita. Poteva essergli venuto in mente a lui, a lei? Troppo tardi per accertarsene, ragazza; tua madre ormai era in cielo e tuo padre un morto vivente. Non lo saprai mai. Urania! Assurdo quanto fare quell'affronto all'antico Santo Domingo de Guzmán chiamandola Ciudad Trujillo. Anche quella era stata forse un'idea di suo padre?
Sta aspettando che spunti il mare dalla finestra della sua camera, al nono piano dell'Hotel Jaragua, e finalmente lo vede. Il buio scompare in pochi secondi e lo splendore bluastro dell'orizzonte, che cresce in fretta, inizia lo spettacolo che attende da quando si è svegliata, alle quattro, nonostante la pillola che aveva preso mettendo da parte le sue prevenzioni contro i sonniferi. La superficie blu scuro del mare, punteggiata di macchie di schiuma, si sta incontrando con un cielo plumbeo sulla remota linea dell'orizzonte, e, qui, sulla costa, si infrange in ondate sonore e schiumose contro il Malecón, di cui scorge parti del viale tra le palme e i mandorli. Allora, l'Hotel Jaragua guardava il Malecón di fronte. Adesso, di lato. La memoria le restituisce quella immagine - di quel giorno? - della bambina tenuta per mano dal padre, mentre entrano nel ristorante dell'albergo per pranzare loro due da soli. Li avevano sistemati a un tavolo vicino alla finestra, e, attraverso le tendine, Uranita poteva vedere l'ampio giardino e la piscina con i trampolini e i bagnanti. Un'orchestra suonava dei merengues nel Patio Español, che aveva tutt'attorno azulejos e vasi di garofani. Fu quel giorno? "No", dice ad alta voce. Il jaragua di allora lo avevano demolito e sostituito con questo voluminoso edificio color pantera rosa che l'aveva sorpresa al suo arrivo a Santo Domingo tre giorni prima.
Hai fatto bene a tornare? Te ne pentirai, Urania. Sprecare una settimana di vacanze, tu che non hai mai avuto il tempo per conoscere tante città, regioni, paesi che ti sarebbe piaciuto vedere - le montagne e i laghi innevati dell'Alaska, per esempio - per tornare nell'isoletta su cui avevi giurato di non mettere mai più piede. Sintomo di decadenza? Sentimentalismo autunnale? Curiosità, nient'altro. Dimostrare a te stessa che sei capace di camminare per le strade di questa città che non è più tua, percorrere questo paese estraneo, senza che ciò susciti in te tristezza, nostalgia, odio, amarezza, rabbia. O sei venuta ad affrontare quella rovina che è tuo padre? A scoprire che impressione ti fa vederlo, dopo tanti anni. Un brivido la percorre dalla testa ai piedi. Urania, Urania! Magari, dopo tutti questi anni, potresti scoprire che, sotto la tua testolina caparbia, determinata, impermeabile allo scoraggiamento, dietro quella forza che ti ammirano e ti invidiano, tu hai un cuoricino tenero, pauroso, lacerato, sentimentale. Si mette a ridere. Basta con queste stupidaggini, ragazza.
S'infila le scarpette, i pantaloni, la blusa della tuta da ginnastica, raccoglie i capelli in una retina. Beve un bicchiere d'acqua fresca ed è sul punto di accendere la televisione per guardare la Cnn ma ci ripensa. Si ferma accanto alla finestra, a rimirare il mare, il Malecón, e poi, voltandosi, la foresta di tetti, torri, cupole, campanili e chiome d'albero della città. Quanto è cresciuta! Quando l'hai lasciata, nel 1961, ospitava trecentomila anime. Adesso, più di un milione. Si è riempita di quartieri, viali, parchi e alberghi. Il giorno prima, si era sentita un'estranea mentre faceva un giro su un'auto presa a noleggio tra gli eleganti condomini di Bella Vista e l'immenso parco El Mirador dove c'erano tanti joggers come al Central Park. Ai tempi della sua infanzia, la città finiva all'Hotel El Embajador; da lì in poi tutto era fincas, terreni seminati. Il Country Club, dove il padre la portava in piscina di domenica, era circondato di prati, anziché di asfalto, case e pali della luce come adesso.


© 2000, Giulio Einaudi editore

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