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Recensione Carlo Lucarelli Intervista
Ci sono persone che parlano del 25 aprile come di una data, di un fatto che divide; noi crediamo che non sia così. È importante, per te, che i giovani ricordino?
Sicuramente sì, anzi è importantissimo: intanto, voglio dire, è bello ricordare, è bello ricordare dei momenti che sono belli. Quello della Resistenza è stato – al di là del momento brutto che poteva essere in generale, perché c’era la guerra e la gente moriva – un periodo comunque bello, un periodo in cui tutta una serie di persone hanno dato la vita, sono andate a morire, hanno fatto un sacco di fatica e hanno patito un sacco di sofferenze per dei valori che – oggettivamente – sono belli, per dei valori che non possono dividere o che, se dividono qualcuno, è giusto che questo qualcuno stia da un’altra parte: chi è contro l’unità, la libertà, la giustizia e la solidarietà ha queste idee e se le tiene. È stato un momento in cui, incredibilmente, si sono ritrovati – pur con tutte le loro differenze e con certe contraddizioni, ma questo si deve al momento storico – dalla stessa parte, a lavorare assieme per un’idea, per un grande ideale, dai cattolici ai comunisti, passando per Liberali, Azionisti, Repubblicani e gente che non centrava niente, gente che – fino a un secondo prima – non aveva mai pensato politicamente, non aveva mai pensato di dire: “Eh no, questa volta io devo farla questa cosa!” Cosa si può dire, perché non si deve ricordare un momento grande come questo?
Qualche ricordo, qualche esperienza della tua famiglia ti lega personalmente alla Resistenza? Perché hai scelto di ambientare due dei tuoi romanzi in questo periodo?
Io vengo da una famiglia che, per parte di padre, ha vissuto tutto “l’arco” del ventennio ed è passata – dall’essere debitamente fascista, prima della guerra – al subire la guerra e poi nascondere soldati che l’otto settembre scappavano ed armi che andavano alla Resistenza. Da parte invece di madre e di famiglia acquisita, io ho avuto persone che hanno fatto parte della Resistenza – come Gianni Manzoni, che era uno storico della Trentaseiesima Garibaldi – e persone che stavano anche dall’altra parte e che, poi, sono state uccise in uno di quegli episodi – strani e contraddittori – che succedono alla fine di ogni guerra. Non l’ho vissuta mai direttamente io, non ho mai avuto un nonno o uno zio partigiano che mi dicesse queste cose, però – come tutta la mia generazione – l’ho scoperta. Dopo aver sentito queste vecchie storie – che magari t’annoiavano anche - quando finalmente ti fermi e cominci a pensarci, dici: “ Eh però, rispetto a questo, c’erano delle cose molto interessanti” .
Quando uscirà il tuo prossimo libro?
Il prossimo libro – che sto scrivendo adesso e che non so quando uscirà – è ambientato, tra il 1895 e il 1896, in Eritrea: mi sembra che sia interessante – adesso – mettersi a parlare di imperialismo, colonie, guerre in Africa, di popoli grandi che credono di avere diritti su popoli piccoli eccetera, eccetera; E anche di parlare degli italiani considerati "italiani, brava gente", è vero, ma quando continuano a ripeterselo se lo dimenticano e fanno cose brutte come quelle che abbiamo fatto in noi in Africa.
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