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Recensione Scott Turow

Scott Turow

Lesioni personali - Le prime pagine.

le prime pagine
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1


Sapeva che era un imbroglio e che l'avrebbero pizzicato. Sapeva che sarebbe successo un giorno o l'altro.
Erano stati stupidi, anzi, ammise, spudoratamente avidi. Avrebbero dovuto fermarsi prima. Invece, ogni volta che affiorava il pensiero di smettere, si sorprendeva a congegnarne qualcuna di peggio. Ora sapeva di essere nei guai.
Il solito motivetto. In più di venti e rotti anni, le persone che si erano sedute in quella poltrona di pelle davanti alla mia scrivania avevano selezionato nel loro juke-box sempre gli stessi inesorabili pezzi. "Non sono stato io. È stato quell'altro. Perché se la prendono con me." Il ritornello che mi si offriva quel giorno, "Sono pentito", era il più gettonato. In compenso da me si aspettavano di sentire immancabilmente la medesima tiritera: "Forse posso tirartene fuori". E io la ripetevo, pur sapendo che non di rado dovevo rimangiarmela. Ma è un brutto affare essere l'unica via di uscita di qualcuno.
Questa è la storia di un avvocato, di quelle che agli avvocati piace sentire e raccontare. Di un caso. Di un cliente. Si chiamava Robert Feaver. Tutti lo conoscevano come Robbie, sebbene a quarantadue anni, tanti mi aveva detto di averne quando gliel'avevo chiesto, mi pareva un po' stagionato per i diminutivi. L'anno era il 1992, seconda settimana di settembre. I tuttologi non erano più tanto sicuri che Ross Perot sarebbe stato il prossimo presidente degli Stati Uniti e la coppia "punto" e "com" non aveva ancora fatto conoscenza. Ricordo quel periodo con precisione perché la settimana prima ero tornato in Virginia a dare l'estremo saluto a mio padre. La sua dipartita che nel corso degli anni avevo previsto di accettare come un fatto naturale, aveva invece pervaso tutti i miei momenti di veglia della qualità remota che hanno i sogni, cosicché persino la mia mano, quando la consideravo, mi sembrava separata dal mio corpo.
I problemi di Robbie Feaver erano più immediati. La sera prima erano andati a fargli visita a casa tre agenti speciali della divisione investigativa del Fisco, uno per parlare e due per ascoltare. Erano, al solito, uomini trasandati, in giacca sportiva da pochi dollari, seri ma garbati. Gli avevano consegnato un ordine emesso dal gran giurì per il sequestro di tutte le scritture contabili dello studio legale di cui era socio e avevano cercato di porgli domande sulle sue dichiarazioni dei redditi, alle quali aveva saggiamente rifiutato di rispondere.
Come preferiva, aveva ribattuto il solo agente che gli aveva parlato. Ma avevano un paio di cosucce da riferirgli. Notizie buone e cattive. Prima quelle cattive.
Sapevano. Sapevano che cosa lui e Morton Dinnerstein, il suo socio, stavano facendo. Sapevano che da anni depositavano di tanto in tanto su un conto segreto presso la River National Bank, peraltro esclusa dal normale giro d'affari dello studio, un assegno incassato dopo aver vinto o comunque risolto a vantaggio dei propri clienti una o l'altra delle cause per lesioni personali di cui si occupavano. Sapevano che, prelevando dal conto alla River National, Dinnerstein e Feaver avevano distribuito il loro guadagno, secondo le percentuali previste: due terzi ai clienti, un nono ai procacciatori, quote minori a periti o assistenti. Ciascuno aveva visto saldate le sue spettanze. Tranne l'ufficio del Fisco. Sapevano che già da anni Feaver e il suo socio staccavano assegni per ridurre il fondo attivo del loro conto senza pagare un centesimo di tasse.
Siete fottuti, ragazzi, aveva concluso l'agente. Ora Robbie rise, pochissimo, nel ripetere quelle parole.
Io non gli chiesi come avessero potuto pensare che un trucchetto così puerile funzionasse. Ero abituato da tempo alla variegata balordaggine con cui la gente si ficcava nelle grane. E poi restava il fatto che aveva funzionato senza intoppi per anni. Era improbabile che un conto come quello, che non fruttava interessi, suscitasse la curiosità della tributaria. Era casomai singolare che fosse stato scoperto, si poteva pensare soltanto a una bizzarra coincidenza o, mettendoci un po' di sale, alla classica spiata.
Feaver aveva ricevuto gli agenti in soggiorno. Si era piazzato al centro del divano in seta bianca a tentare di darsi un contegno. Di sorridere. Di mostrarsi sicuro di sé. Aveva aperto la bocca per parlare ma si era bloccato per l'inattesa sensazione di un rivoletto di sudore freddo che gli scivolava lungo il fianco prima di essere assorbito dall'elastico dei boxer.
E la buona notizia? aveva chiesto al secondo tentativo.
Ci stavano arrivando aveva risposto l'agente. La buona notizia era che Robbie aveva una possibilità. C'era forse qualcosa che poteva fare per uscirne e che, con la sua situazione familiare, gli conveniva considerare.


© 2000, Arnoldo Mondadori Editore

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