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Recensione Daniel Picouly L'ultima estate
le prime pagine
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1.
L'ULTIMO SOLE
Patapumfete!
Cado all'indietro. I miei occhi fanno tilt. Un pezzo di azzurro mi passa tra le gambe. Che ci fa lì, il cielo? Non è quello il suo posto. E i miei piedi nudi tra i rami del fico. E' normale? Mi fioriranno gli alluci. Petali caffellatte. Non molto serio, come mazzo... Attento, figliolo! Qui tutto cresce da sé. Non sei in un posto qualsiasi. Sei a Fort de l'Eau. Il giardino del paradiso! Bell'accoglienza. Capisco che Adamo ed Eva se ne siano andati. Il giardino del paradiso. Di solito è così. Ma oggi l'aria è pesante. Eppure non c'è scirocco... La prova, figliolo: pianti qui una scarpa di corda e ti spunta un paio di stivali da cavallerizzo... Figuriamoci! Ho provato sulla spiaggia con le mie infradito. Non ho trovato niente, né gli stivali né il cavallo. In questo paese tutti esagerano. E' uno sport, e mi sa che il tizio in maglietta a righe che mi chiama "figliolo" gioca in serie A... Non ci sai fare. Oppure non hai la mano con le piante, la mano delle sabbie, la mano dell'oasi: la mano del mahonese!... Se ci vogliono quattro mani per piantare una scarpa, tanto vale mettersi al piano con Maryse e Martine, le mie sorelline... Hai poco da ridere. Parola mia, sotterri un nocciolo di pesca e il giorno dopo hai una coppa Melba al Milk Bar! E' questa la mano del mahonese... Balle! Al Milk Bar di Algeri l'unica cosa che cresce da sola è il conto... Così dice la mamma.
C'eravamo andati con lei. All'entrata ci avevano perquisiti... E' la vostra prima perquisizione, esprimete un desiderio, bambini... Da un lato la mamma e le sorelline con una signora vestita di azzurro. Dall'altro io con un tizio magro con i baffi. Mi ha palpato e già che c'era mi ha toccato il cuccurucù dentro i pantaloncini. La cosa ha fatto ridere il suo dente d'oro davanti. D'accordo. E' vero che sono un po' piccolo per la mia età. A quattordici anni, ne dimostro a stento dodici tirando su le spalle... Non vuol dire niente, è una questione di ormoni... La mamma può anche consolarmi, ma il depravato ha riso strizzando l'occhio alla collega vestita d'azzurro. Ecco! Adesso tutto il bar lo sa. E domani tutta Algeri.
In quel momento mi sono detto che avevo fatto bene a far sparire due anni dalla mia età. L'avevo deciso di nascosto sull'aereo prima di atterrare. Quei due anni sono miei. Ne faccio quello che voglio. Così passo da quattordici a dodici... Quando il modello non corrisponde al progetto: cambia il progetto!... Papà lo fa con gli aerei che costruisce all'Air France. Perché io no?... Tuo padre lo dice per i vassoi di acciaio inox che mi fabbrica al lavoro... Vabbé mamma. Ma no sarò più difficile da rettificare di una vassoio per lumache. Quindi ho dodici anni. Dodici anni fra tre mesi. Mi sento già meglio. Più leggero. Questo mi fa nascere nel '50. Una cifra tonda. Devo avvertire Maryse e Martine in modo che si cambino l'età. Non ho voglia di diventare il loro fratello minore. Quelle due piattole sarebbero capaci di vendicarsi.
Al Milk Bar, ci hanno dato una lista delle consumazioni per ciascuno. Non bisogna mai leggerla, altrimenti non si sa cosa scegliere. Ho ordinato un sorbetto al ribes... Non si prendono i frutti di bosco, qui. Non sta bene... Perché mamma?... Ssst! Per via del colore rosso... Questa mania, nella nostra famiglia, di parlare sottovoce quando c'è gente. Come se il colore del sorbetto al ribes fosse un segreto militare. Risultato, per spiegarmelo la mamma me lo deve mimare. Altra mania di famiglia. E non è semplice mimare il rosso. Non ci capisco niente e ordino due palline alla vaniglia. Almeno non hanno colore.
Al ritorno avevo chiesto a Serge di spiegarmi senza mimare perché non sta bene ordinare frutti di bosco al Milk Bar. Mi ha parlato di "attentati al plastico". Parecchi. Ho già sentito questa espressione, ma non capisco come faccia una bomba di plastica a strappare gambe, braccia, a squarciare petti e addirittura a uccidere... Avresti dovuto vedere, c'era rosso dappertutto. Un sacco di rossi mischiati insieme. Fragola, mirtillo, ribes e sangue. Una marea di sangue! Per questo lì non si ordinano frutti di bosco...
Bum! La mia testa cozza per terra. Le mie idee hanno subito un attentato al plastico. Mi schizza sangue fresco in bocca. Atterro bruscamente da un pezzo di cielo. Parola mia, stanno cercando di piantarmi per i capelli... Attento, figliolo, alla mano del mahonese. Farebbe fiorire persino un cranio! Per questo qui non ci sono alberi da cocco. Altrimenti crescerebbero dei negri!... Non capisco cosa voglia dire. Io voglio solo gridare, urlare, sbraitare... Smettetela di picchiarmi!... Ma la lingua mi si è attorcigliata in fondo alla gola come una serpentina di carnevale...
Alaki! Alaki! Cinque biglietti per cento franchi, dodici per duecento franchi!... Oltre tutto, deliro. Sarà la febbre del mahonese. E' comodo, a Fort de l'Eau, tutto è mahonese: la mano, la febbre, la terra, la gente, la città. E da sempre. Dov'è, già, Mahón? Maiorca o Minorca? Me l'hanno spiegato cento volte.
Bang! Non sarà certo il pugno che mi è arrivato in piena faccia ad aiutarmi a distinguere le Isole Baleari. Avrei dovuto dar retta a papà e darmi al pugilato. Almeno mi avrebbe ammorbidito le cartilagini e avrei imparato a schivare... La testa! Muovi la testa!... Il dolore si arrampica sul profilo del naso e va a esplodere sotto le sopracciglia. Bang! Nel frattempo inghiotto una folata di henné e di tabacco da masticare. Un giorno anch'io saprò sputare così forte nella polvere da fare crescere le rose del deserto. Non c'è bisogno di essere mahonese. Mi incarto contro un platano verso il campo di bocce. Qual è il verbo per dire che uno strappa la corteccia con la schiena?... Lascia perdere le parole, tira una bocciata... Papà ha ragione. Terrò buono il suo consiglio per il gioco delle bocce, ma più che bocciare io preferisco alzarmi. E così il sole, che tra poco sorgerà per rimettere un po' di ordine nel paesaggio. Perché finalmente il basso sia in basso, l'alto in alto e Mahón a Minorca.
© 1998, Giangiacomo Feltrinelli Editore
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