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Recensione Sandra Petrignani Care Presenze
le prime pagine
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L'estate del 2002 fu un'estate molto fresca. Pioveva spesso. La rimpiango particolarmente quest'anno che siamo soffocati dal caldo e dall'umidità. Quest'anno siamo soli, io e Marin. E questa non è una casa per stare soli. Troppo grande. Passiamo da una stanza all'altra e dalle stanze al giardino e dal giardino all'acqua in cerca di refrigerio. Non facciamo che lamentarci per il caldo e diciamo che, certo, in un'estate così, il lago è un posto davvero malinconico. Soprattutto la sera, quando ti aspetteresti un po' di sollievo e invece niente, nemmeno un filo di vento. Una calma strana, il lago mormora lento accanto a noi nel buio, mentre chiacchieriamo sotto la pergola. Allora ci ricordiamo di quell'estate del 2002 e dell'idea che mi venne di raccontarci storie di fantasmi. Eravamo in tanti, tutte le camere erano occupate.
All'inizio c'ero solo io, con Padma e la sua bambina che vivono nella casetta del custode, accanto al cancello principale, e con Swami, il nostro vecchio spinone. Marin doveva consegnare un progetto e non potè lasciare lo studio fin quasi alla metà di agosto. Carolina, mia figlia, che lavora con lui, avrebbe dovuto restare in città ad aiutarlo, ma era depressa. Aveva chiuso una storia d'amore tormentosa e fu proprio Marin a convincerla a raggiungermi subito. Stava male, era dimagrita almeno cinque chili, che sul suo corpo minuto sono un'enormità. Si era messa in testa di sposarsi e fare figli, ma con l'uomo sbagliato. Il fallimento del rapporto le era apparso come il fallimento di tutta la sua vita, quasi non avesse ancora una quantità di tempo davanti per concretizzare sogni tanto semplici. Lei fu dunque la prima a raggiungermi, pregandomi di non comportarmi da madre e lasciarla in pace. Inizialmente se ne stava sempre chiusa nella stanza al primo piano, quella ad angolo col terrazzino. Non è la sua camera. Quando Marin ha costruito questa casa, ha chiesto ai ragazzi di scegliere ognuno una stanza per sé e dargli indicazioni precise sulle personali necessità. Carolina ha scelto la mansarda, al terzo piano, col terrazzo scavato nel tetto. E una camera isolata, ed è anche molto grande. Carolina è un po' come me, vive i suoi spazi come una tana. Le piace mettere una distanza fra sé e gli altri. Del resto anch'io ho scelto una stanza in alto, ancora più in alto di quella di Caròl, perché è in cima alla torre, che è la parte più alta di tutta la casa. Svetta come il campanile di una chiesa o il maschio di un castello.
La torre è la costruzione originale. Quando l'abbiamo comprata era un rudere. Sia io sia Marin amiamo le torri, ci siamo innamorati subito di questo posto. Una torre diroccata sul lago, che cosa romantica. Adatta al momento che vivevamo. Due cinquantenni (io avevo quarantotto anni per essere precisi, e lui cinquantaquattro), ma insomma due cinquantenni che ricominciano lasciandosi una serie di rovine alle spalle e che provano a scommettere ancora una volta sull'amore.
Sull'amore. Che coraggio. A cinquant'anni, quando tutti e due pensavamo di avere chiuso, lui vedovo, io divorziata.
Insomma ci piacciono le torri, che non sono un simbolo di felicità, semmai di caduta e solitudine. Eppure abbiamo scommesso su questa torre, l'abbiamo restaurata, cioè Marin l'ha fatto, l'architetto è lui. E le ha disegnato intorno due ali che si armonizzano bene, costruite in due tempi diversi, per non rovinarci completamente. Ci è costato tutti i nostri risparmi e le nostre eredità questo progetto grandioso. Per anni abbiamo combattuto con mutui e permute e vendite. Ora la costruzione è completa ed è davvero la casa dei nostri sogni, solida e accogliente, incarnazione del nostro destino comune.
© 2004 Neri Pozza Editore
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