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Recensione Ferruccio Parazzoli MMRossa
le prime pagine
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Entro in ascensore, schiaccio il pulsante zero e dall'ottavo piano, dove vivo, mi ritrovo a livello asfalto, piazzale Loreto, giusto all'imbocco del subway, via sotterranea, Linea 1, MM Rossa. Può iniziare il viaggio. In realtà il viaggio è già iniziato dal momento che, entrato in ascensore, ho schiacciato il pulsante zero. Ground Zero. Si dà il caso che dall'ottavo piano io precipiti ogni mattina fino al Livello Zero. Una cassa rivestita di zinco che precipita nella fossa ecologica fino a raggiungere in pochi secondi il Livello Zero. Cassa, fossa, livello zero: non c'è da stare allegri, a pensarci. Non ci penso, impegnato, come sono, a farmi largo tra il portone d'ingresso, l'edicola dei giornali, aperta ventiquattro ore su ventiquattro, e l'imbocco del metrò.
Vivo ogni giorno con la consapevolezza di avere sotto i piedi un asfalto vuoto. Mi affaccio al balcone, in ringhiera stanno aggrappati quattro disperati vasi di gerani: lo sguardo plana sull'immenso catino, non va giù in verticale come l'ascensore nella fossa, colto da vertigine si spiaccicherebbe sul fondo, ha tratto esperienza dai piccioni quando si sganciano dai cornicioni dove figliano e fanno all'amore, mai giù a piombo ma planando ad ali larghe, prendendo tempo, aria e spazio, come ciancicati fogli di giornale. A metà rampa del mezzanino c'è il cieco che grida “grazie!” se gli fai risuonare una moneta nel barattolo che tiene stretto tra le mani all'altezza del mento. Non vede quelli che gli passano davanti e perciò non chiede niente, alza il suo stentoreo grido di ringraziamento al suono della moneta ritenendo suo dovere avvertire lassù Dio perché ne tenga buon conto se un giorno andrai ad incontrarlo. È il primo della fantasiosa schiera di accattoni che incontrerò nel mio giornaliero percorso sulla MM Rossa. Del rivenditore di bigiotterie tra l'edicola e l'imbocco del metrò non va infatti tenuto conto: non è un accattone, è uno stanziale, tale e quale il gioielliere che ha negozio tra il numero civico 7 e il civico 9. In qualche modo è un suo concorrente, allinea sul panchetto merce a buon mercato come quell'altro espone in vetrina i suoi preziosi. Con gli anni è diventato sempre più giallo e stenco, la pelle, sulla faccia di lupo domestico, ha lo stesso colore di un mio vecchio paio di scarpe. Il suo panchetto, non più grande di un asciugamano, non ha riparo. Lui spia il cielo perché ha per nemica la pioggia: d'estate invece frigge insieme con tutta la grande padella di piazzale Loreto.
L'altro giorno l'ho incontrato in farmacia, quella a fianco al portone dove abito: chiedeva consigli al farmacista, come a un gran luminare, su una malattia cronica ai polmoni alla quale fino allora era sopravvissuto.
Le donne, specie quelle di mezza età, si fermano volentieri a rigirarsi tra le mani le catenine fasulle e i coniglietti di vetro con gli occhi neri a capocchia di spillo, l'affare finisce quasi sempre in niente, gli fanno perdere tempo, ma lui di tempo ne ha da buttare. Quando il sole brucia davvero troppo, si appoggia appena al muretto del metrò, sul lato che prende un po' d'ombra dal tettuccio dell'edicola, la faccia di cuoio sconciato circondata dalle tette e dai ventri color mortadella delle ragazze in locandina.
Ogni giorno, scendendo a Livello Zero, mi auguro di vederlo ancora al suo posto. Ho già pronta in mano la monetina. “Grazie!” grida il cieco a Dio che, di lassù, prende nota.
Scendo nella luce gialla del mezzanino.
© 2003 Arnoldo Mondadori Editore
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