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Recensione Matteo Collura Qualcuno ha ucciso il generale
Matteo Collura Qualcuno ha ucciso il generale
Un uomo da non dimenticare
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Giovanni Corrao, chi era mai costui?
Credo che ben pochi sappiano chi è, tanto è stato il colpevole oblio a cui fu destinato dall’appena nato Regno d’Italia, che s’affrettò a cancellarne la memoria dopo avergli tolto, con ogni probabilità, la vita. Era un generale palermitano, garibaldino, distintosi per coraggio, ascendente sulla popolazione siciliana e anche acume tattico durante la gloriosa campagna dei mille iniziata proprio con lo sbarco a Marsala e conclusasi, remissivamente, con l’incontro di Teano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II.
Personaggio scomodo, questo Corrao, protagonista poi della sfortunata spedizione che vide sull’Aspromonte il ferimento a una gamba dell’eroe di Caprera, ma a differenza di quest’ultimo, sulla via di un declino dovuto all’età e all’artrite che lo affliggeva dolorosamente, l’ardimentoso siciliano era ancora nel pieno del suo vigore con quarantuno anni ben portati, per quanto disilluso per il verso che avevano preso le cose, ma sempre pronto a non tirarsi indietro qualora ci fosse anche solo l’abbozzo di un tentativo rivoluzionario.
Quest’uomo, dalle umili origini (svolgeva l’attività di calafato), in fin dei conti era un puro idealista che aveva una visione sfumata di una repubblica italiana, ma sempre fedele ai principi mazziniani e al suo grande eroico generale, quel Garibaldi intrepido e avventuroso fino a quando la salute e gli interessi del regno sabaudo glielo consentirono; al nizzardo fu tuttavia riservata sorte migliore, perché tanta era l’aureola che portava sul capo per le sue imprese che era necessario servirsene per ammantare di gloria una spedizione, tutto sommato conclusasi felicemente soprattutto per l’azione corruttiva avviata dal Cavour; Corrao era assai più pericoloso, perché nel fiore degli anni e tenacemente teso a concretizzare una repubblica italiana in cui finalmente fossero riconosciuti diritti inalienabili a tanti contadini siciliani e anche alla moltitudine dei nuovi italiani, vessati dapprima dai vecchi stati e ora da quello nuovo appena nato.
E fu così che un giorno del 1863 (era il 3 agosto) alle porte di Palermo due colpi d’arma da fuoco troncarono la vita di Giovanni Corrao e subito vi furono depistaggi di vario genere, mentre il popolo dell’isola, ma anche molti nobili che l’amavano, provvidero a solenni esequie. Ufficialmente si parlò di mafia, onde screditarne la figura, ma chi aveva una visione più ampia non poté fare a meno di pensare che se la mafia era l’esecutrice, il mandante stava più lontano, veniva dal governo del nuovo stato italiano; pensò e non gridò, perché il rischio di perdere la vita era quasi una certezza. Poi fu compito dei governanti, fra i quali un vecchio compagno nella lotta antiborbonica (quel marpione di Francesco Crispi), a far dimenticare questa nobile figura, mai presente nei testi scolastici fra i generali garibaldini, un colpevole oblio che con il trascorrere degli anni è diventato vera e propria condanna post-mortem.
A riparare ci ha pensato Matteo Collura con questo libro, a metà fra saggio e romanzo storico, puntuale nella ricerca della documentazione, in parte all’epoca volutamente distrutta, proponendoci un personaggio che, uscito dalla nebbia, appare splendente come il sole. Non vi è dubbio che per lui l’autore nutra una particolare simpatia, senza che però, per questo, finisca per ingigantire un’immagine oltre quelli che erano i suoi effettivi meriti.
La sua, così, diventa una narrazione avvincente e convincente, con pagine che restituiscono al mondo momenti gloriosi e anche di dolore, parte integrante della nostra storia, tassello, come tanti, indispensabile per conoscerla.
Ci si appassiona, nel leggere, ma quando si arriva all’omicidio di Corrao, atto scellerato inserito in un contesto paesaggistico di straordinaria bellezza, per quanto le parole siano misurate e mai enfatiche, non è possibile evitare di lasciarsi prendere dalla commozione nel vedere quest’uomo, gigantesco in tutti i sensi, privo di vita nella polvere della strada, un destino crudele, simile a quello che in seguito sarà proprio di chi si batterà, anche senza speranza, per un mondo migliore e più giusto.
Da leggere, senza alcun dubbio.
Di Renzo.Montagnoli
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