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Recensione Fausto Nicolini Linguanìa
Fausto Nicolini Linguanìa
Linguanìa, “…come fosse la lingua che parlasse”.
Con l’aiuto di questo endecasillabo “rubato” all’Inferno di Dante, Nicolini offre al lettore l’opportuna indicazione per chiarire il significato del titolo della sua ultima silloge: sottolinea, cioè, l’importanza della parola (il suo potere e il suo fascino indiscussi capaci di costruire nuove realtà, e d’inventarsi nuove sopravvivenze), che si concretizza attraverso l’uso della lingua. Trattandosi di una raccolta di poesie d’amore, nella volontà dell’autore, si intuisce l’intenzione di un “cammino esteriore” al sentimento: Linguanìa non vuole essere soltanto un romantico canto sentimentale, ma il commento narrante a una storia d’amore. Infatti, a differenza delle precedenti raccolte di Fausto Nicolini, le poesie seguono un percorso letterario che s’avvicina a un breve romanzo scritto in versi, un “discorso amoroso”, sintetizza Mascolo nella prefazione. Una storia d’amore che nasce da una solitudine, si evolve, esplode, s’incrina e finisce “crocefissa al legno dell’incoscienza”. La trama si sviluppa in soli venti componimenti, ma il senso della storia risulta completo in tutte le sfaccettature di un amore intellettuale, giocato sulla necessità della comunicazione dialettica e sensuale. Citiamo ancora Mascolo su Nicolini: “Solo la parola, suggeriscono i suoi versi, può ricomporre i frammenti di un amore disgregato dal tempo e dal silenzio, può trasformarlo di nuovo in materia, farlo ritornare reale”.
Ogni poesia è corredata a fronte da un disegno d’epoca (di proprietà dell’autore) per lo più a commento, non privo di una certa ironia, dei versi corrispondenti.
Di Susy
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