Recensione Georges Simenon L’amico d’infanzia di Maigret
Georges Simenon L’amico d’infanzia di Maigret
L’amico bugiardo
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A chi non è mai capitato di ritrovare dopo tanti anni di silenzio un amico d’infanzia? E’ quello che accade a Maigret in un mese di giugno dalle tiepide temperature. Se ne sta nel suo ufficio al Quai d’Orsay a osservare una fastidiosa mosca che indifferente si pulisce le zampette su una pratica, quando entra Florentin, suo compagno di liceo, il bullo e il buffone della classe, bugiardo per natura e scansafatiche. Quello che gli racconta (si tratta di un delitto di cui sarebbe stato involontario testimone) ha ben poche parvenze di credibilità, ma il nostro commissario, pur consapevole, pensa che nelle parole dell’amico ci sia un fondo di verità e che comunque lui non sia l’assassino. Le indagini procedono un po’ a tentoni, anche perché la vittima, benché mantenuta da più uomini, aveva un comportamento, dal punto di vista giuridico, del tutto adamantino. E poi c’è chi sa ed è reticente, anche per poterci guadagnare, e questi è la portinaia dello stabile dove abitava l’uccisa, una donna più simile a una cariatide che a un essere femminile e che non trova di certo la simpatia di Maigret, atteggiamento peraltro platealmente ricambiato.
L’inchiesta si fa serrata, si arriva a sapere i nomi degli uomini che mantenevano la vittima e infine, in modo del tutto logico, il commissario potrà mettere le mani sull’omicida e assicurarlo alla giustizia.
L’amico d’infanzia di Maigret non è forse fra i migliori della fortunata serie, magari la trama è avvincente, ma Simenon è meno accorto nelle descrizioni dei personaggi, trascura un po’ l’ambientazione, benché torni a evidenziare, in modo qui più marcato, una sua caratteristica: l’avversione per i potenti, per quel loro modo di comportarsi come se a loro tutto fosse permesso; dimostra invece una certa disponibilità, per non definirla addirittura pietà, per i vinti, per chi dalla vita ha ritratto solo amarezze, come il suo amico Florentin. Beninteso, il termine amico è un po’ forte, perché si ne ha compassione, ma non sia mai detto che questa ravvivi un antico legame che in verità non c’è mai stato, quel legame, di altra natura, che Maigret ricorda avrebbe voluto avere con la sorella, con cui doveva esserci una reciproca simpatia, perché quando lui entrava nella pasticceria di famiglia, lei, da dietro il banco, arrossiva. Questa quasi confessione, esposta pudicamente, di un’attrazione giovanile impreziosisce la narrazione, anche se si tratta di un paio di righe, perché in un uomo, già avanti con gli anni, felicemente sposato e che gode di una posizione invidiabile, il ricordo di una passione di gioventù è un tuffo al cuore, forse un rimpianto, è una mesta considerazione su un tempo andato e che mai più ritornerà.
Da leggere.
Di Renzo.Montagnoli
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