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Recensione Primo Levi Se non ora, quando?
Primo Levi Se non ora, quando?
Mai lasciarsi sottomettere
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Se non ora, quando?, pubblicato nel 1982, ebbe da subito un buon successo di pubblico, incontrando i favori della critica e riuscendo anche ad aggiudicarsi la vittoria in due importanti concorsi letterari (Il Viareggio e Il Campiello).
Quest’opera può definirsi il primo autentico romanzo di Primo Levi, perché, benché tragga origine da una storia in parte reale, ha tutte le caratteristiche di creatività che non sono presenti in Se questo è un uomo e nel suo naturale seguito La tregua, lavori questi frutto di un’esperienza diretta, il primo della sua reclusione nel lager di Auschwitz, il secondo del suo avventuroso e lungo viaggio di ritorno in Italia.
La narrazione contenuta nel libro è relativa a un periodo storico che va dal luglio del 1943 all’agosto del 1945 e prende spunto da un fatto reale, da una banda di partigiani russi e polacchi che combatterono nelle retrovie contro i nazisti, precedendo sempre l’avanzata dell’esercito sovietico. Al riguardo Levi precisa di aver tratto ispirazione nella creazione della vicenda e dei protagonisti da alcuni giovani ebrei sionisti, animati dal desiderio di andare in Palestina, aggregatisi al convoglio ferroviario predisposto dai russi che lo aveva riportato in Italia.
Il romanzo quindi tende a smentire la figura dell’ebreo succube e remissivo di fronte alla Shoah, e del resto indomito era stato l’autore nel breve periodo in cui aveva militato fra le file dei partigiani italiani.
Resta il fatto che in questo libro Levi dimostra una naturale propensione per l’avventura, un’inclinazione naturale che lo porta a descrivere convincenti scene di battaglia, un lungo esodo lungo terre spesso desolate, si inventa amori occasionali, tradimenti, delusioni, anche esaltazioni, mette in bocca ai protagonisti ragionamenti a volte inconcludenti, altre volte di una cristallina e semplice logica. In alcune pagine sa essere perfino brutale, trascinando il lettore in un mondo di ansie e di orrori, in altre prende il sopravvento una vena poetica, a cui è piacevole lasciarsi andare.
Sa accarezzare, coccolare le sue creature, ma il suo atteggiamento è accompagnato sempre da un velo di pietà per le esperienze tragiche che le contraddistinguono, rivelando una maggior simpatia per l’orologiaio Mendel, in cui penso abbia avuto intenzione di identificarsi. Infatti, la solitudine di questo personaggio deriva da un futuro senza speranza, da una casa in cui non può più ritornare, perché non c’è più e dalla consapevolezza che l’età non consente di rifarsi una vita, ma tuttavia ad essa s’accompagna il rispetto e la venerazione per un gruppo di più giovani che sognano e fanno di tutto per tornare nella terra promessa, non più in fuga dal Faraone, ma dal loro stesso breve passato.
Sono pagine e pagine di continui episodi e avventure, scritte in modo lieve e accattivante, e quindi la lettura non può che risultare coinvolgente.
Una opportuna precisazione sul particolare titolo: è tratto dal Pirké Avoth (Le massime dei padri del II secolo d.C., una raccolta compresa nel Talmud, uno dei testi scari dell’ebraismo) ed é parte di una massima “ Se non sono io per me, chi sarà per me? E quand’anche io pensi a me, che cosa sono io? E se non ora, quando?” Come noterete è particolarmente significativa, è un invito a non lasciarsi ghettizzare, a operare, a non essere remissivi, una sorta di “Aiutati, che il ciel ti aiuta”. È un titolo, quindi, che a futura memoria - e questo vale non solo per gli ebrei - gli uomini non si lascino supinamente soggiogare, che lottino per la loro libertà, proprio come il gruppo di partigiani russi e polacchi protagonisti del romanzo.
Se non ora, quando?, pur non raggiungendo il livello di assoluta eccellenza di Se questo è un uomo e di La tregua, è tuttavia un’opera di qualità, interessante ed avvincente, senz’altro da leggere.
Di Renzo.Montagnoli
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