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Recensione Abulhawa Susan Il romanzo è in parte storico, in parte una saga familiare. La voce narrante è Amale, nipotina del patriarca della familia Abulheja, che rievoca le vicende storico-familiari che accadono dal 1848 al 2002 in Palestina. Il tempo della narrazione è il passato, a volte ci sono momenti anticipatori del futuro. Il linguaggio è emozionale, con una acuta analisi introspettiva e psicologica. I vari personaggi arabi sono figure forti, orgogliose del loro passato e determinate a salvarlo. L'arrivo degli Israeliani a prendere possesso della TERRA PROMESSA avviene sempre in modo violento, numerosi i massacri che compiono per privare gli arabi delle loro proprietà e insediarvisi, cacciando i Palestinesi nei campi profughi. Lì perdono tutto: casa, diritti, nazione. La sopportazione, a poco a poco, viene sostituita dalla durezza e imparano ad esaltare il martirio. Per spostarsi in Palestina gli arabi devono presentare permessi (di carte di diverso colore) per qualsiasi attività: medica, commerciale, universitaria; tuttavia gli ebrei ai posti di blocco, a volte esplodono in violenze gratuite. Numerose sono le violazioni israeliane dello spazio aereo (libanese) e delle acque; l'ONU condanna Israele e fornisce aiuti economici internazionali ai Palestinesi. Si forma l'OLP, la resistenza araba che ha un granade seguito popolare, e per questo viene cacciata prima in Libano, poi in Tunisia. In sessant'anni si assiste alla nascita di uno stato (Israele) e alla fine di un altro (Palesitna). Le antiche case di pietra sono state costruite dai Palestinesi. Gli orti di aranci e di melograni e gli oliveti sono stati piantati e nutriti dai Palestinesi molto tempo prima che qualche europeo giungesse a rivendicarne il possesso. La storia della Palestina è intrecciata alla storia di una familia, che diventa il simbolo delle familie palestinesi, che conoscono l'ESILIO, la GUERRA, la PERDITA DELLA TERRA e degli AFFETTI, la vita da RIFUGIATI, condannati a sopravvivere in attesa di una svolta. Amale, la figlia minore, è la custode della memoria familiare, è la prima a conoscere il fratello-nemico Ismail David, rapito dall'ebreo Moshe (durante un massacro) per consolare la moglie Jolanta, sopravvissuta all'Olocausto e incapace, per le violenze subite nel lager, di generare. L'autrice con questo espediente, fa capire come l'appartenenza ad un popolo orienti le scelte politiche che prevalgono sulle ragioni della "PIETAS". Tuttavia gli Ebrei sono presentati con rispetto. Narra invece di tante vittime capaci di proseguire solo grazie alla forza dell'AMORE, come Yussef che dopo aver perso tutto dice: "Mangerò la mia rabbia, ma la morte non sarà il mio lascito". Di mary avona
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