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Recensione Luciano Trincia L’odore del Novecento. Guerre, migrazioni, luoghi di memoria nelle carte di Luigi Trincia (1912-1990), Gangemi, Roma, 20
Luciano Trincia L’odore del Novecento. Guerre, migrazioni, luoghi di memoria nelle carte di Luigi Trincia (1912-1990), Gangemi, Roma, 20
Un “secolo terribile”, quello del Novecento, carico di conflitti e di contraddizioni: il dopoguerra, la rinascita degli anni ’50, i contrasti ideologici e politici della seconda metà del secolo tra le contestazioni giovanili, le lotte operaie, gli squilibri sociali generati dalla vertiginosa ascesa di una società in continuo fermento. Come indica il titolo, questo libro è lo specchio della società del Novecento. Vuole essere un commovente omaggio alla memoria di un Padre, ma ai ricordi personali si intrecciano gli eventi tragici del “secolo terribile”, il Novecento, e gli usi e costumi di una società che ancora credeva in quegli ideali cui ogni uomo non può rinunciare. E sta qui il costante interesse della narrazione che, nonostante vi si intreccino temi e motivi diversi, risulta sempre vivace e scorrevole grazie alle capacità dello scrittore che sa essere ora autentico storico e acuto ricercatore, ora brillante cronista di una società in permanente conflitto con se stessa e coi tempi, ora biografo tenero e appassionato.
Ma quel che colpisce il lettore sin dall’inizio è quella non comune sensibilità, intesa come sinonimo di “romanticismo”, quel costante bisogno in noi di ricchezza interiore che ci porta sempre alla ricerca di radici e di memorie: una sensibilità olfattiva (“anche il tempo ha il suo odore”) così come una sensibilità visiva (il culto della natura, il fascino dello scenario naturale, che porta spesso lo scrittore a soffermarsi a lungo in descrizioni paesaggistiche di grande effetto emotivo.
Nel complesso scenario del secolo si muove la storia di una famiglia di Norcia e di una famiglia di Cava de’ Tirreni: due famiglie numerose e tradizionali dalle radici liberali-moderate, che vivono intensamente le loro esperienze ora tristi e a volte tragiche se attraversate dal turbine delle due guerre mondiali, a volte piacevolmente liete. Nelle vicende si incastrano, dentro e fuori i confini familiari, vivaci ritratti di numerose figure umane, ma fra tutti emergono due personaggi attorno ai quali si snoda tutta la storia: Luigi, il protagonista, ed Enrica, sua madre. Sono i due personaggi ai quali l’autore attribuisce con piacevole benevolenza l’espressione “romanticamente avventurosi”.
Enrica infatti è la donna che a soli 24 anni deve decidere della sua vita, è la donna che con le sue “decisioni ardite” segue l’istinto con il cuore carico di euforia e di speranza, la speranza dei momenti importanti della vita. Enrica è la donna saggia e prudente che sa identificare la gioia al dolore. Luigi è l’uomo la cui vita non è stata facile. Lo vediamo muoversi sin dalla tenera età, dopo la tragica morte del padre in guerra, attraverso tre migrazioni, a Roma, a Cava de’ Tirreni e infine nella Roma del dopoguerra nel 1945. Tutto nasce, nel libro, da una descrizione di una luna che in una calda serata di giugno si è appena levata sulla curva dell’orizzonte. Attorno, prati fioriti dai mille colori della campagna umbra dove frassini, betulle e salici piangenti ondeggiano battuti dal vento. Così viene al mondo Luigi, il protagonista. Lo seguiamo poi nella narrazione attraverso i suoi studi, nelle allegre parentesi goliardiche, nella laurea, nel primo lavoro, nella seconda guerra mondiale con la morte del fratello. La sua storia si incastra nella narrazione al contesto storico e sociale del suo tempo, attraverso quel gioco costante tra pubblico e privato tanto caro allo scrittore.
Non è mia intenzione dilungarmi troppo, ma mi sono lasciata prendere la mano perché, avvinta nella lettura, non riuscivo a tenere dentro di me le mie sensazioni. In particolare, essendo figlia del Novecento, ho ritrovato in queste pagine tutta la mia giovinezza, con i miei ideali e le mie più belle esperienze. E a parte i contenuti, ciò che mi ha anche colpito nel libro è lo “stile” con il quale è stato realizzato. L’autore – non sarò certo io a dirlo la prima volta – è un bravissimo scrittore e non poteva non rendere nel modo più bello e completo un sentito e dovuto omaggio a una generazione di donne e uomini che non ci sono più.
S. C., Roma
Di SerenaC
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