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Recensione Enrico Deaglio

Enrico Deaglio

GIORGIO PERLASCA

di ENRICO DEAGLIO

Era l’autunno 1989. A fine settembre, su diversi quotidiani italiani, nello spazio accordato alle notizie “brevi” era segnalato che a Gerusalemme era stato insignito di prestigiose onoreficienze statali un cittadino italiano, il signor Giorgio Per lasca, di ottant’anni, che nel 1944, a Budapest era riuscito a salvare migliaia di ebrei ungheresi destinati alla deportazione nei campi di concentramento. Poche righe aggiungevano che la sua vicenda era rimasta sconosciuta per quasi mezzo secolo ed era venuta alla luce in seguito alla tenace ricerca condotta da alcuni sopravvissuti; altrettante poche e vaghe righe venivano spese per accennare al contesto dei fatti.:il signor Per lasca si era fatto passare per un diplomatico spagnolo e in questa veste era riuscito a portare avanti la sua opera di salvataggio. Ero seduto nel piccolo salotto di una casa di Padova e davanti avevo il signor Giorgio Per lasca, ottanta anni, pensionato, che mi raccontava la sua vicenda.Era stato un commerciante di carni, bloccato a Budapest dall’otto settembre. Internato insieme ad altri italiani, era riuscito a fuggire e si era trovato nella capitale ungherese nel vortice finale della guerra, solo e senza documenti. Aveva trovato rifugio nella sede diplomatica spagnola e dall’ambasciatore aveva ricevuto un passaporto falso e si era messo al servizio di un programma umanitario di salvataggio degli ebrei che la Spagna conduceva insieme alle legazioni di altri paesi neutrali ed alla croce rossa internazionale.Ma poi era successo che l’ambasciatore aveva improvvisamente lasciato l’Ungheria e lui, che avrebbe dovuto pensare solamente a salvare la pelle, si era auto nominato nuovo rappresentante della Spagna di fronte al governo filonazista ungherese. E così, come autorevole rappresentante di una nazione neutrale, aveva assicurato protezione a più di cinquemila ebrei ungheresi, nascondendoli in edifici posti sotto la giurisdizione spagnola, trattando coi nazisti che li volevano deportare, salvandoli dalle bande dei fanatici ungheresi che li volevano uccidere. Un “magnifico impostore”.Che poi, finita la guerra,era tornato a casa e aveva ripreso la vita di sempre, fino a quando qualcuno s’era ricordato di lui, e lo aveva rintracciato.Convocato a Budapest, l’anno prima gli avevano conferito l’Ordine della Stella d’Oro con il parlamento riunito in seduta straordinaria e in piedi ad applaudirlo. A Gerusalemme, aveva piantato un albero nel “Parco dei Giusti” dove migliaia di piante ricordano i nomi di tutti coloro che aiutarono gli ebrei durante gli anni dell’olocausto. Il suo era stato piantato in un luogo di prestigio, subito dopo quello di Simon Wiesenthal, il “cacciatore” di criminali nazisti.Per lasca abita in un modesto appartamento di Padova. “Lei che cosa avrebbe fatto al mio posto ?” – Sarebbe bello poter rispondere:”La stessa cosa!”. Farebbe parte dell’idea che gli italiani hanno di sé:”brava gente”, umani d’una umanità che non ha bisogno neppure di essere elaborata dal cervello, ma che viene dalle viscere e scatta, a dispetto degli ordini, delle divise e delle ideologie, alla sola vista di un’umiliazione o di un sopruso subito dagli altri:dotati di innata teatralità e di intuizione psicologica.Ma la vicenda di Giorgio Per lasca è più grande.Molti sono stati, durante la guerra,gli italiani che hanno aiutato o “ritardato” o “deviato” il corso degli eventi rifiutandosi di commettere brutalità oppure anche solo nascondendo una pratica o facendo una telefonata di avvertimento. Ma quello che fece Per lasca è unico e clamoroso. Non aveva una funzione ma se la creò. La sua azione non si esaurì in un solo gesto, ma durò mesì e venne portata a termine con grandi doti di organizzazione che produssero risultati insperati, nelle condizioni più rischiose. La persecuzione degli ebrei ungheresi è ancora oggi pochissimo conosciuta. Eppure avvenne sotto gli occhi del mondo. Lo sterminio organizzato durò otto mesi, dal marzo del 1944 al gennaio del 1945, quando già Hitler aveva perso la guerra nel corso dell’avanzata contemporanea dell’Armata Rossa da Est e degli Anglo-Americani da Ovest. Fu unio sterminio annunciato, previsto e seguito in tutte le sue fasi dalle diplomazie e spesso anche giorno dopo giorno, dalla stampa internazionale.Fu anche l’unico olocausto a rimanere interrotto a causa della precipitosa ritirata dell’esercito nazista. Questo fece si che Budapest rimanesse l’unica capitale dell’Europa Centrale a non vedere i suoi ebrei completamente sterminati. Se decine di migliaia si salvarono lo si dovette al salvataggio compiuto da un piccolo gruppo di diplomatici di paesi neutrali rimasto nella capitale nelle settimane finali dell’assedio. Di tutta questa storia il mondo ha sempre saputo pochissimo, tranne un nome, quello di Raul Wallemberg, il diplomatico svedese inviato dal re di Svezia. I due – Perlasce e Wallemberg – non avrebbero potuto essere più diversi e più uguali :ricco e protetto il primo, con uno status speciale che gli consentiva di trattare con le SS e di offrire denari al posto di vite umane. Uomo solo e in fuga il secondo, che pagava di tasca sua il cibo alla borsa nera per mantenere in vita i suoi protetti. Si incontrarono diverse volte in quei mesi.”Alla stazione” per esempio , ricorda Per lasca “dove andavamo per cercare di strappare qualcuno dai treni. Era bravo Wallenberg, ci dava l’anima.Lo incontrai anche nella legazione di Spagna negli ultimi giorni dell’assedio.Il 18 gennaio , quando erano già entrati i russi, ebbi notizia certa che Wallenberg era in una casa della via Kiràly. Vi andai ma mi dissero che era uscito. Credo che sia morto quel giorno per una bomba o pallottola vagante. Nel dopoguerra, quando si sollevò il suo caso,feci l’unica cosa che potessi fare. Nel 1952 andai a Milano e sottoscrissi una dichiarazione giurata su quanto sapevo, sulle circostanze dell’ultimo giorno in cui so per certo che era vivo …Mi aspettavo che mi chiamassero, invece nessuno m’ha fatto sapere niente”. “Da quando è stato scoperto” dice la moglie” Giorgio è ringiovanito”. “Diciamo piuttosto che mi hanno scombussolato la vita” dice lui. “Però, certo che sono stato contento. Ci sono delle soddisfazioni che non potrò dimenticare. In Ungheria non ero più tornato dai tempi della guerra. Quando mi hanno convocato per la premiazione sono arrivato a Budapest con il treno. Siamo entrati alla stazione di Budapest e mi sono sporto dal finestrino, volevo rivedere se mi ricordavo dei luoghi. Mentre il treno arrivava sul binario, ho visto un sacco di gente sulla banchina.Mi chiedevo:cosa sarà successo? Quando sono sceso mi sono reso conto che erano lì per me.Mi hanno insignito con l’Ordine della Stella d’Oro con Corona e me la sono messa all’occhiello della giacca.. Questa è la più alta onorificenza che concedano in Ungheria. Pensi che ho camminato per strada e sono andato in treno e le persone che la vedevano si toglievano il cappello, mi salutavano battendo i tacchi, e qualcuno faceva il saluto militare”. Ho rivisto Per lasca diverse volte negli ultimi due anni. Alle onoreficienze israeliane ed ungheresi ha aggiunto ora (1989) quelle spagnole e quelle americane, che gli sono state consegnate a Washington e a New York. In Italia la sua storia è stata raccontata al programma televisivo MIXER e in quella occasione m’è capitato anche di accompagnarlo ad un colloquio privato col presidente della Repubblica. Eravamo organizzati malissimo, parcheggiammo l’automobile nel posto sbagliato e così ci dovemmo fare un bel pezzo a piedi dentro i giardini del Quirinale. Per lasca era un po’ divertito ed un po’ seccato. “Mai capitato una cosa del genere. Sia a Budapest che a Gerusalemme mi hanno portato con la macchina fin sulla porta”. Per lasca ebbe un breve colloquio col presidente cossiga che lo ringraziò “come uomo e come italiano” per tutto quello che aveva fatto. Uscendo Per lasca disse che aveva paura gli offrissero una croce da cavaliere:”Sa come diceva Vittorio Emanuele II ? Un sigaro e una croce da cavaliere non si negano a nessuno!” Invece finora (1989) non gliela hanno offerta. Né la croce di cavaliere , né altro. Per lasca è morto il 15 agosto 1992. Nonostante il Ferragosto, i suoi funerali sono stati affollatissimi. Avvertite da radio,televisioni ed articoli di giornali, nella piccola chiesa di Sant’Alberto magno, a pochi metri dalla casa di Per lasca, sono arrivate più di 2000 persone che hanno trovato impreparato il parroco. La maggior parte dei partecipanti ha potuto seguire la cerimonia solo attraverso due altoparlanti allestiti sul sagrato. Nelle prime file della chiesa, vicino ai familiari, hanno trovato posto molti membri della comunità israelitica di Padova, i rappresentanti delle ambasciate di Spagna, Ungheria e Israele, il sindaco ed il prefetto di Padova in rappresentanza del presidente della Repubblica. Era anche presente, con il gonfalone una delegazione di vigili urbani di Como, città natale di Per lasca, che lo aveva premiato. Nel pomeriggio, a casa, il figlio Franco ha fatto il conto dei telegrammi giunti in ricordo dell’opera di suo padre. Tantissimi, tra cui 202 provenienti da Budapest, Gerusalemme, Hebron, Haifa, Tel Aviv, Berlino, Barcellona, New York. …. Erano “i suoi” salvati. Oltre all’ onoreficienza dell’Ordine della Stella d’Oro concessa dall’Ungheria e di quella di “Giusto tra i Giusti” conferita dal parlamento Israeliano egli è stato onorato dall’ Holocaust Memorial Council di Washington e dal comitato Roul Wallenberg di New York; commendatore di numero dell’Ordine di Isabella per decreto del Re di Spagna Juan Carlos. In Italia , dopo la pubblicazione del libro biografico (“La banalità del bene” di Enrico DEAGLIO ed. Feltrinelli) e la vasta conoscenza della sua storia avvenuta grazie alla trasmissione MIXER, Per lasca aveva infine ricevuto il riconoscimento che gli era stato negato per 45 anni. Il presidente della Repubblica Cossiga lo aveva nominato Commendatore Grand’Ufficiale ed il governo aveva deciso per lui il contributo vitalizio della “legge Baccelli” , che viene assegnato alle personalità insigni che vivono in ristrettezze economiche. A partire dall’ottobre 1991 Perlasca era stato invitato ad innumerevoli cerimonie, dibattiti e manifestazioni. … Era particolarmente a proprio agio quando parlava coi giovani e poteva rispondere alle loro domande. Dava allora risposte sempre concrete e dettagliate, ricordando il nome delle strade, il freddo, la fame, con serenità ripensando alle persone (in particolare ai bambini) che era riuscito a salvare, triste per non essere riuscito a fare di più. Ognuna di queste storie incantava l’uditorio. Tra le targhe – ricordo che aveva ricevuto, quella che preferiva veniva dai ragazzi della scuola elementare del suo quartiere e portava scritto:” Ad un uomo cui vorremmo assomigliare”.

Dalla biografia di ENRICO DEAGLIO (La banalità del bene – Ed. Feltrinelli)

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