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Il senso storico del flâneur

Il pedone attento

“La folla è il suo regno, come l’aria è il regno degli uccelli, e l’acqua è quello dei pesci. La sua passione e professione è sposare la folla. Per il perfetto flâneur , per l’osservatore appassionato, è causa d’immenso godimento prendere dimora nel numero, in ciò che fluttua e si muove, è fuggitivo o infinito. Essere fuori casa e sentirsi dappertutto a casa propria; vedere il mondo, esserne al centro e rimanergli nascosto: ecco alcuni dei più comuni piaceri di questi spiriti indipendenti, appassionati, imparziali, che la lingua fatica a definire”. (Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, Marsilio, Venezia 2002, pagg. 68 e 69)




Bighellonare oziosamente, senza una meta, immersi nella folla, anonimi osservatori di un mondo brulicante o di vie deserte, pronti a cogliere elementi di ispirazione per la propria creatività o particolari di un luogo tramite i quali giungere a collegare passato e presente, non è un passatempo da scansafatiche, bensì è il lavoro del flâneur, questo pedone attento, insensibile al turbinio della vita moderna, astratto dalla realtà, se pur presente.
E’ di lui che ci parla Gaspare Armato in questo suo insolito saggio ed è con lui che ci accompagna nello svolgimento di questa attività propedeutica.
Non è un personaggio raro, anzi piuttosto frequente e quasi sempre presente fra gli artisti e gli storici, tanto che l’autore riporta i nomi e i percorsi di questi più noti flâneur, fra i quali Baudelaire, che espresse il concetto in un suo lavoro (Il pittore della vita moderna), lo scrittore Edgar Allan Poe, il poeta Walt Whitman, il filosofo Walter Benjamin, il romanziere Joseph Conrad, i poeti Robert Walser e Guillaume Apollinaire, il narratore Italo Calvino, e non poteva mancare lo storico Marc Bloch. Fra l’altro flâneur fu anche il famoso pittore Claude Monet, insomma l’impressione che si ritrae è che gli artisti e gli storici, in maggior o minor misura, abbiano posto e pongano alla base della loro attività questo passeggiare senza una meta, alla ricerca di nulla di preciso se non di quello che, in forza della loro cultura, attira la loro attenzione. Del resto, ho notato che quando vado in giro senza una precisa necessità di recarmi in un posto, libero da obblighi di tempo, curioso di ogni cosa, poi, ritornato a casa, quasi subito mi nascono idee per scrivere poesie o racconti.
La mia testimonianza è poca cosa, ma quella dei personaggi che ho prima citato avvalora senz’altro il metodo del flâneur.
Tuttavia, sarebbe riduttivo dire che il saggio di Armato enuncia semplicemente l’utilità di questo ozio vigile, comprovandola con il fatto che scrittori famosi l’hanno praticato, perché in effetti ci fornisce anche un’ampia dimostrazione diretta di come il flâneur si muove, vede, collega, percepisce, fiuta, con un’ultima parte del saggio in cui insieme a lui percorriamo le vie della sua città, Pistoia, cogliendo aspetti che legano passato e presente, con una immediatezza che colpisce il lettore come se procedesse al suo fianco. Queste sono pagine veramente affascinanti, perché, oltre a stupire per le bellezze, anche minori, di una città antica insegnano a essere il pedone ozioso, ma attento.
Ho voluto provare a mettere in pratica l’insegnamento visitando un vecchio quartiere di Mantova, dietro il Duomo, con viuzze lastricate di ciottoli e che procedono a zig zag, come in un tipico impianto medievale; mi sono sorpreso a osservare vecchi capitelli, spesso usurati dal tempo, oppure battenti in ferro di antichi portoni, ho immaginato mani sconosciute che bussavano in una buia sera, le ante che si aprivano su un piccolo cortile con al centro un pozzo, luci tremolanti di lucerne, ho udito voci, risa di donne, il suono di un liuto, sono andato indietro di cinque - sei secoli, in un posto di cui la grande storia non racconterà mai, in un luogo così vicino al fasto dei Gonzaga, eppure anonimo, un’esperienza unica, sebbene breve.
Sono un flâneur ? Forse sì, ma leggere il libro di Armato è di aiuto, perché permette di affinare il metodo; per metterlo in pratica non occorre molto: una capacità innata di saper osservare e il desiderio di isolarsi, anche se per poco, dal caos frenetico del nostro tempo.
Fra l’altro, la lettura è assai piacevole e si arriva alla fine quasi senza accorgersi, noi, poltroni o corridori, quasi mai, purtroppo, pedoni oziosi, ma attenti.

Di Renzo.Montagnoli

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