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Recensione Licia Giaquinto La ianara
Licia Giaquinto La ianara
Ho appena letto “La ianara” di Licia Giaquinto, una scrittrice che ha al suo attivo un paio romanzi oltre a questo. Mi è piaciuto molto il suo stile, la sua abilità nel tratteggiare quel mondo di miseria e ignoranza che è il Meridione; così ho letto delle atrocità sui più deboli, dei vizi dei personaggi, della solitudine. La protagonista si chiama Adelina ed è una ragazza poverissima che vive con la mamma e la nonna; queste sono ianare e trattate con disprezzo dalla gente del paese che poi di nascosto chiede loro favori di vario genere. Adelina eredita l’arte di percepire le voci dei morti e i suoni di tutto quello che non c’è più; se ne servirà quando, adulta, fuggirà dalla casa natia e andrà a servizio nella casa di un nobile che servirà tutta la vita con amore e abnegazione. È una storia di miseria e di morte.
“Niente di ciò che è stato si perde. Uomini, donne, fiori, animali, piante: ogni cosa conserva la traccia della propria esistenza anche quando non esiste più.”
“Sua madre e sua nonna giravano per paesi, campi e boschi, o sedevano accanto al fuoco, e sapevano riconoscere suoni, impronte, odori, appartenuti a persone o cose scomparse. Non è un usignolo, è solo il suo canto, non è un fiore, è il suo profumo, dicevano sentendo il canto di un usignolo nella notte o un odore di viole in un campo coperto di neve.”
“Sua madre e sua nonna spesso parlavano ai morti: incrociavano tre bacchette di salice su una pietra di tufo nera, facevano un nome, e il vento spingeva la voce del morto nella stanza. Lei sentiva solo il vorticare del vento e pezzi di parole mangiucchiate, suoni senza senso. Ma sua madre e sua nonna, girando le bacchette in quel vento, riuscivano, come se quelle bacchette fossero stati aghi, a ricucire in parole tanti suoni smembrati.”
“Non parla, appoggia il vassoio sul tavolo dello studio e scivola via come un’ombra colpita dalla luce.”
“Non capivo che anche la bellezza può essere una disgrazia in un paese dove l’invidia azzanna più di un lupo e uno non sa dove fuggire.”
Anche Alberoni ha dedicato un articolo all’invidia definendola la rovina dei talenti migliori.
Di MCF
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