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Recensione Diciannove strofe, che non superano mai i ventiquattro versi, contrassegnate da numeri romani e riunite sotto il titolo complessivo di Alluminio, che in sé rispecchia la superbia della luce in contrasto con l'opacità del buio, non solo notturno, ma enigmatico di un rapporto a due, problematico ed esistenziale, formano il poema notturno a più voci del salernitano Mario Fresa, nome non nuovo alla poesia, ma che si conferma nuova voce della poesia contemporanea, in ascesa, e si raccomanda da sé a causa della qualità della scrittura, delle radici culturali che dimostra di avere ben profonde e sicure nel solco del canone novecentesco, per la modalità con la quale egli parla la sua lingua post-moderna, arricchendola, appunto, di ombre e luci, usando notevoli mezzi tecnici e linguistici in una trama nella quale si può ravvisare l'ordine della misura formale e del ritmo con il quale egli è capace di modulare l'endecasillabo, quante volte franto e mescolato, spezzato, a comporre figure minori del verso, dal novenario al settenario ricorrenti fino alla singola parola isolata, importante nella sua nudità essenziale, per distendersi, nello stesso procedere del monologo, del dialogo o dell'inciso virgolettato, nel polimetro quasi prosastico che non dà scampo, nella sintesi e nel fiato più ampio della colloquialità, ma sempre con una tonalità di mezza voce, di riflessione e di raffigurazione d'esistenza e di sogno, in un pacato e notturno sfilare di parvenze e verosimiglianze, di assiomi e sentenze, di analogie mai banali. Poesia matura, ormai, della quale non si può fare a meno d'apprezzare l'intensità del dettato e l'ala che la eleva in alta sfera. Poema, Alluminio, del "giovane" e "antico" Mario Fresa, che rifarà presto parlare di sé Renato Greco
Di miachiara
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