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Recensione Poeta e vampiro George Gordon Noel Byron nasce a Londra il 22 gennaio 1788 e muore di meningite a Missolungi (Grecia) il 19 aprile 1924. La fama di poeta è contesa con quella di uomo dissoluto, dal carattere forte, ma accompagnato da una malvagità che in famiglia non era cosa nuova, visto che un prozio era soprannominato Il malvagio. Peraltro, come riferisce anche la moglie, la sua cattiveria si rivolge a chi più ama, pur nella consapevolezza di sbagliare. Si potrebbe dire che il male che portava dentro era più forte di lui. Su questa base caratteriale, Tom Holland, uno storico inglese che normalmente scrive di greci e persiani, ha imbastito un romanzo della sua vita in cui si ripercorrono tutti gli eventi salienti, ma con una visione fantastica secondo la quale Lord Byron era un vampiro. Quest’ipotesi, per quanto frutto di creatività, trova tuttavia elementi di ipotesi quanto mai abbondanti, anche se rivenienti da opere letterarie. Il suo medico personale, John William Polidori, pubblicò nel 1819 il primo romanzo di successo sui non morti, intitolato appunto Il vampiro. Nel testo il protagonista ha il nome inventato di Lord Ruthven, ma descrizioni e vicende sono proprie di Lord Byron. Inoltre Caroline Lamb, amante del poeta e da questi poi allontanata, diede alle stampe un’altra opera, intitolata guarda caso, Lord Ruthven, in cui il personaggio principale è chiaramente il poeta baronetto, descritto in tutte le sue nefandezze al punto da destare scandalo. Sulla base di questi scritti e di ricerche effettuate Tom Holland ha elaborato un romanzo senz’altro avvincente, aderente alla realtà dei fatti (viaggi, amicizie, turpitudini), da cui esce un Byron straordinariamente vivo, un’incarnazione del potere assoluto del male che qui lo trasforma in un vampiro dalle infinite facoltà, in pratica un vero e proprio monarca dei non-morti. Può far sorridere questa visione, ma non si possono dimenticare il rapporto incestuoso con la sorellastra, il fascino perverso che esercitava sulle donne e anche la sua omosessualità, quest’ultima più per un’esigenza cerebrale che fisica, anche se non disdegnava saltuariamente la compagnia di giovani uomini. La vita di Byron resta comunque un mistero e come se tutto quanto a lui attribuito non bastasse occorre ricordare che le sue Memorie, già purgate dallo stesso autore - che al riguardo scrisse “omettendo tutte le parti davvero pertinenti e importanti, per rispetto verso i morti, verso i vivi e verso coloro che debbono essere l'una e l'altra cosa” -, furono poi bruciate dal suo editore per evitare uno scandalo senza precedenti. Dall’ipotesi che di tali memorie esistesse una copia prende avvio il romanzo di Holland con la ricerca del manoscritto da parte di Rebecca, una sua discendente, e così finisce con l’imbattersi nelle stesso avo, il quale racconterà la vera storia della sua vita. La scrittura fluida, una tensione costante che a tratti si accentua, i rapporti con personaggi realmente vissuti, come il poeta Percy Shelley e la sua compagna Mary, la sorellastra di quest’ultima Claire Clairmont, una delle sue numerose amanti, da cui ebbe una figlia, Allegra, strappata alla madre e morta giovanissima in convento, la descrizione di un mondo quasi in disfacimento, la presenza di pagine di chiara ispirazione poetica sono tutti fattori che, sapientemente accostati, tengono avvinto il lettore, scosso ogni tanto da sottili brividi quando il male appare in tutta la sua cieca potenza. Ne esce in ogni caso una figura di Byron grandiosa e tremendamente negativa al tempo stesso, animata dalla molla della vanità di raggiungere e dimostrare l’onnipotenza. Sì, perché un tipo come il baronetto non si accontentava di essere un vampiro, ma doveva essere sopra tutti, una specie di Supervampiro. In proposito ricorderò sempre quella parte del racconto in cui Byron descrive la sua visita al luogo in cui avvenne la battaglia di Waterloo, con il terreno impregnato del sangue dei caduti che inizia a ribollire e con gli eserciti dei deceduti che escono dalle zolle, acclamando in lui il loro imperatore. Da leggere, senza ombra di dubbio, perché è un gran bel romanzo. Di Renzo.Montagnoli
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