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Recensione Fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo visse a Vermiziano, paese di gente ignorante, analfabeta e polentona, Saturnetto Vinceslovo, da ricordare e da venerare per le sue qualità poetiche, tanto più sorprendenti qualora si consideri l’ambiente in cui si sviluppò a livello eccelso la sua qualità artistica. Prima che si vada a cercare su un libro di storia della letteratura italiana o su internet il nome di questo personaggio è doveroso premettere che è solo frutto della fervida fantasia di Danilo Giovanelli, autore di questo romanzo di genere fantastico che ha vinto nel 2008 il Premio iNarratori. Del resto bastano poche righe per comprendere che Saturnetto Vinceslovo non è mai esistito e sono quelle con cui si spiega il suo soprannome, Morbillaio, che nulla ha a che fare con la nota malattia infantile, se non per le piccole cicatrici che portava sul volto provocate dalle forchettate dei parenti, tutti presi dalle gran mangiate di polenta al punto che nemmeno riuscivano a distinguere questo cibo dal volto giallognolo del futuro poeta e quindi affondavano i rebbi dove capitava, anche nella carne del pargoletto. A distanza di molti anni, morto già da tempo Saturnetto, la vicenda prende corpo partendo dalla scuola costruita in suo onore ed edificata sulla sua stessa vecchia casa. Ogni pagina che scorrevo, prendendo le annotazioni del caso, mi veniva continuamente alla mente un romanzo ben più famoso, I ragazzi della via Pal di Ferenc Molnar. Non è che lo sviluppo della trama sia uguale, ma ci sono analogie in un ritratto garbato del passaggio dall’infanzia alla pubertà. Impostato come un giallo il racconto non presenta tuttavia tensioni particolari o spasmodiche e anche lo scioglimento del mistero su cui è intessuta la fragile vicenda non è di quelli che faranno epoca fra gli appassionati. Non era sicuramente uno scopo dell’autore imperniare il tutto sull’atmosfera del thrilling, perché lui voleva scrivere un romanzo i cui personaggi contano più della vicenda. E sono protagonisti godibilissimi, azzeccati al meglio, una squadra di figure che, pur nell’evidenza caricaturale, riporta simboli di salti generazionali con una vena comica che induce il lettore ad amarli tutti. Dal plurilingue Ebète, che mescola le parole in una sorta di personale esperanto, a Elio Sumello, gran secchione, ma simile a un batrace, dalla dotta Donnetta al bizzarro maestro Tomino è tutto un agitarsi di ombre che poco a poco schiariscono per essere focalizzate dalla mente e quindi diventare più familiari. Sinceramente, a un certo punto ho quasi dimenticato la trama per godermi le situazioni, anche umoristiche, in cui i protagonisti si ficcano quasi spontaneamente, come se fossero liberi di costruire la storia, indipendentemente dalla volontà del loro creatore, che più che imporre suggerisce. Ne esce un romanzo di straordinaria freschezza e assai gradevole, 179 pagine che volano via e con loro le inevitabili fantasie dei lettori, in un sano divertimento sia per gli adulti che per i ragazzi. Di Renzo.Montagnoli
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