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Recensione Sono evidenti, sotto gli occhi tutti, i problemi che affliggono lo stato italiano, che appare non ancora maturo e consolidato dopo quasi un secolo e mezzo dalla presa di Roma. In particolare il popolo è affetto da particolarismi, da spinte eccessivamente autonomiste che finiscono con il minare la struttura, già di per sé debole in origine. Manca una forte identità nazionale, circostanza che impedisce la realizzazione di quelle riforme indispensabili per l’essere al passo dei tempi. Unità senza identità affronta questo problema cercando di far emergere i motivi per i quali, se si è realizzata l’unità d’Italia, l’unificazione degli italiani è invece ancora ben lungi da essere concretizzata, con il fondato timore che la cosa sia ormai impossibile. Per far questo parte necessariamente da una rigorosa analisi storica, al di là di ciò che è da sempre insegnato nelle scuole relativamente al risorgimento italiano. Precisiamo subito che non è stato un moto di popolo quale si vuol far credere, anzi i nostri concittadini di quell’epoca furono abbastanza indifferenti. Del resto i Savoia mai ambirono a unire l’Italia, già divisa in stati e staterelli, ma concepirono la loro azione solo come conquiste di territori da annettere allo stato piemontese, senza tener conto delle aspirazioni di chi li popolava, da secoli costituenti autonome realtà accomunate, come oggi, solo dalla lingua. Vittorio Emanuele II, sempre descritto come un fervente patriota, in effetti considerava l’Italia solo come una mera espressione geografica, tanto che nei giorni precedenti alla proclamazione ufficiale del Regno d’Italia si oppose decisamente a questa denominazione del nuovo stato, intendendo invece mantenere quella di Regno di Piemonte. La presa di posizione del monarca fu tuttavia contrastata con successo da Cavour, timoroso che la decisione del re potesse costituire una palese smentita di ciò che era stata promesso da anni, con immaginabili conseguenze nei territori annessi e con riflessi non certo positivi nei confronti dell’alleato occulto (Inghilterra) che tanto si era prodigato per l’unità del nostro paese; e non si creda che questo aiuto fosse motivato solo da simpatia, perché da un lato la politica inglese mirava a temperare con una nuova realtà abbastanza forte le mire espansionistiche di Francia e Austria, e dall’altro intendeva indebolire lo stato pontificio, da sempre inviso alle logge massoniche di oltremanica. Quindi già la premessa per la concretizzazione dell’unità era debole e lo fu ancor di più nella realizzazione pratica, perché non si tenne conto del fatto che i territori annessi avrebbero dovuto almeno godere di quell’autonomia a cui erano abituati, magari armonizzandola in un contesto di prudente trattativa, un po’ come fece Il Regno di Sardegna, anche perché poco esteso e influenzato dal concetto di stato sorto con la rivoluzione francese, e poi indirettamente riconfermato con la restaurazione, era un forte accentratore e si oppose decisamente alla soluzione proposta da qualche parlamentare e volta a dividere amministrativamente l’Italia in comuni e regioni, più o meno corrispondenti queste ultime alla realtà antiunificazione. In questo contesto si può quindi comprendere come i mali, forse insanabili di oggi, abbiano avuto origine da decisioni sbagliate, da un risorgimento sabaudo che in effetti risorgimento non era e da una visione proprietaria dello stato tipica proprio dei Savoia. Il saggio storico di Giuseppe Brienza ha il pregio di ricercare le cause del malessere, con l’unico limite di non approfondire più di tanto il tema, il che avrebbe giovato non poco a fare luce completa su quanto invece fino ad ora divulgato per interessi di parte. Resta comunque un’opera che incide su una vulgata tramandata nel tempo e che introduce a riflessioni di non poco conto sui tanti come e perché si è realizzata l’unità d’Italia, ma non l’unificazione degli italiani. Di Renzo.Montagnoli
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