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Ottocento nero italiano

La mia passione per la letteratura fantastica mi ha portato qualche giorno fa alla scoperta di un bel libro: “Ottocento nero italiano. Narrativa fantastica e crudele”, edito da Nino Aragno. Prima di tutto, quattro parole sull’editore per dire soltanto quanto egli susciti la mia invidia (del tutto bonaria, beninteso) per il fatto che del mercato se ne stropiccia bellamente e pubblica i testi che gli piacciono. Proprio come questo che, a 38 euro la copia, certo non attira frotte di compratori e che, per il suo argomento, si rivolge a specialisti o giù di lì. Tutto, o quasi, il catalogo Aragno è uno schiaffo (senza intenzione di schiaffeggiare, ovviamente) a chi deve quotidianamente fare i conti con venduto e reso. Uno schiaffo guantato di finissima pelle, però! Sì, perchè il livello delle pubblicazioni è – quasi sempre – alto, a volte altissimo. È evidente, in ogni modo, che il signor Aragno (dev’essere, però, qualcosa di più di signore: commendatore o quanto meno cavaliere, a dispetto del nome di battesimo piuttosto proletario) la pecunia non la trae dalla sua attività editoriale. Beato lui. Ritornando al libro, occorre dire che è un volumone di oltre 500 pagine - bella carta -, il che giustifica il prezzo. Reca una tanto striminzita quanto inutile introduzione di Luca Crovi (stranamente poco in forma) e raccoglie un congruo numero di racconti o stralci di romanzo tutti ascrivibili alla letteratura “nera”, sebbene di generi diversi. Vi si trovano scritti di autori noti – sebbene non al grande pubblico dei giorni nostri – quali, per esempio, Emilio De Marchi Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo, Carolina Invernizio, accanto ad altri di scrittori ormai dimenticati: chi di noi, infatti, ricorda i nomi di Franco Mistrali o Giuseppe Zucca o Giuseppe Bevioni e via citando? La selezione, davvero interessante, è stata fatta da due studiosi che mi piacerebbe conoscere di persona: Claudio Gallo e Fabrizio Foni. Una cena in loro compagnia (e in compagnia di una buona bottiglia... magari due) sarebbe per me senz’altro gradevole; per loro non so, ma spererei di sì, almeno in nome della comune passione.

Di goffredo

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