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Recensione “La corsa selvatica, la chiamavano. E a poco servivano le barricate, i fucili, le trappole segnalate da rami incrociati o il riunirsi tutti nello stesso luogo, attendendo che finisse. Erano grossi cani neri, forse tanti quanti poteva contenerne la contrada stessa.” Nei primi anni del Regno d’Italia, ai confini con il Tirolo, accadono fatti strani, inspiegabili, oltre ogni umana comprensione. Qualche cosa di indefinibile è arrivato, o forse solo ritornato, mobilitando un vero e proprio esercito di soldati, di stregoni e di medium. In un paesaggio incantevole, ma anche incantato, nel silenzio della neve che copiosa lo ricopre, sembrano materializzarsi certe storie di lontane leggende, in un’atmosfera cupa, di tensione, nella quale orrore, disperazione e brama di conoscenza riescono a convivere perfettamente. La corsa selvatica è un romanzo dalla trama continuamente in bilico fra realtà e mondo oscuro, fra le fatiche del giorno e gli ancestrali timori notturni. E’ ambientato alla fine del 1800, ma sembra di tornare molto più indietro nel tempo, come se all’improvviso l’illuminismo dovesse ancora arrivare a far prevalere la razionalità. Sono bestie infernali quelle che avviano la corsa selvatica, ma anche gli uomini, quelli in carne e ossa, le vittime per intenderci, sono figure emblematiche dei turbamenti dell’inconscio, e non di rado prede e cacciatori. In questo romanzo, che riesce ad avvincere il lettore nonostante ci sia un po’ troppa carne al fuoco, si ritrovano così le atmosfere di certe narrazioni dei vecchi nonni ai nipotini, frutto anche esse di una tradizione orale che caratterizza ogni comunità e in cui ogni invenzione ha un qualche fondo di verità. Ricordo io stesso di storie di lupi mannari, di streghe e di bestie diaboliche, tutti specchi delle nostre paure, di quei timori latenti che il buio fa risvegliare. E’ l’incapacità di comprendere che fa nascere gli spettri, è l’umana debolezza che scaramanticamente li evoca, è l’ignoto di noi stessi che cerchiamo di rappresentare. Eppure, la Katertempora, la caccia selvaggia così come tramandata nel Tirolo, nelle sue lontane origini non può essere solo un fenomeno di credenza collettiva; alla base ci deve pur essere qualche cosa di concreto, ma cosa? Notti di neve e latrati di cani? Ombre che circondano il viandante? La corsa selvatica ha inizio; fortunato è solo chi non è la preda, ma soprattutto il lettore. Di Renzo.Montagnoli
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