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Recensione Siamo tutti viandanti lungo un percorso dall’alba al tramonto, siamo di passaggio e quasi sempre procediamo soli. Sono rari gli incontri e spesso casuali, ma quando si tratta di un contatto poetico si scopre l’immensa bellezza di trovarci insieme. Bea è apparsa come una cometa, un lampo di luce che ha illuminato noi viandanti, un attimo solo, ma ha lasciato dentro di noi il palpitante calore dei suoi versi, ha riflesso in noi la sua anima e questa prefazione a un libro - che avrebbe meritato in ogni caso di essere pubblicato - altri non è che la riconoscenza di un poeta a un altro poeta. Questa è una raccolta abbastanza consistente di liriche, di quella traslazione in parole dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, dalle prime ancora incerte, ma già avviate con sicurezza verso uno stile compiuto, alle ultime, in cui ha messo tutta se stessa, il suo saluto al mondo terreno e agli amici poeti. Se piace leggere questi versi, che profumano d’amore (Sapesse parlare il mio cuscino / -ti stupiresti- dei tanti abbracci / lievitati tra le radure / o dietro gli scogli / che non hanno occhi e bocca / da sfamare- /…), esposti in una linearità che sembra frutto di un accostamento semplice, immediato alla tematica, ma che se ben analizzati, con quegli incisi così puntuali, denotano una ricerca formale in corso di evoluzione, non si può non restare indifferenti, anzi ci si lascia trascinare e coinvolgere dalla forza ferma e inflessibile utilizzata per ricordare l’olocausto (…/Di carne e di sangue / la mano di colui / annientava l’estremo respiro, / e l’attimo attraversava spietato / l’ultimo Shabbat e l’amen mai detto./…). Chi mai direbbe che è la stessa mano che ha vergato i versi d’amore e che ora sembra brandire una spada, anziché una penna? Eppure è così, perché il poeta rispecchia le sensazioni che prova e chi ama nel senso più ampio del termine non può che reagire in modo veemente quando si uccide l’amore. Già, l’amore, che corre con noi o che noi cerchiamo, e in Bea è un tema ricorrente. Si avverte nei suoi versi un forte desiderio di amare, ma anche di essere compresa, di trovare chi sia disposto a donare se stesso come lei avrebbe fatto con lui (…Viaggerò con te / una notte almeno / nella tua ventiquattrore, / mi stringerò il profilo / per starti più vicina... amore / e non sarà la solita mia notte / maledetta, / chè d’amore si può morire / senza farsi male.) Sono tante le poesie di questa raccolta e se ho anche la tentazione di accennare a ognuna per il suo contenuto, lo spazio, ma soprattutto il rispetto per i lettori, che non è mia intenzione né tediare né influenzare, mi costringe a fare delle scelte, a riferirmi solo a quelle che a mio giudizio sono più significative - e non dico belle, perché belle lo sono tutte - e con il termine significative intendo quelle che meglio servono a identificare la personalità artistica dell’autrice. Così, nel tempo che trascorre, Bea avverte che la vita sta per sfuggirle e reagisce con questi versi: Sto qui / con la sola tristezza / di sempre. / Il battere della pioggia / annulla ogni sentire / e i miei silenzi dissolti / sui muri / colano speranze. /… Poche parole per esprimere, benissimo, quella sensazione di consapevole rassegnazione, ma senza indulgere alla facile commozione, senza strepiti, bensì sommessamente, un flash che fissa indelebilmente la fotografia di un essere che si appresta al commiato. In questi versi, scarni ma bene amalgamati ritroviamo tuttavia la forza che è presente nello svolgimento del tema dell’olocausto, una forza non più esteriorizzata, ma interna e che appena trapela. Ed è proprio questa saldezza che emerge nelle ultime poesie, quando ormai Bea è conscia dell’ineluttabilità del suo destino; non c’è disperazione, ma solo dolorosa consapevolezza e allora trae da sé il meglio della sua arte, un’ultima sfida alla morte che s’appresta a coglierla. Bea è sconfitta, ma non vinta, perché sa che nessuno può uscire vittorioso da una battaglia con il destino, e allora intona il suo canto alla vita nei versi di commiato, struggenti nella loro umana intensità. Ancora_ta mi coglie il soffio caldo della vita dentro un pugno di vetro che guardo e attraverso mentre il risucchio dell'agguato mi zoppica addosso. È tempo di azzerare il timer e ripartire è tempo di conciliazione e di respiri. Non abbandonare il figlio, Padre ora che ha conosciuto il tepore della buona stagione e il frinire delle cicale. Non avrei mai potuto immaginare la difficoltà che poi ho incontrato nello scrivere queste righe. Ho cercato di essere asettico, di non lasciarmi prendere dalla commozione e ci sono riuscito quasi fino in fondo, ma poi sono un essere umano anch’io e parlare del lavoro di un’amica che troppo presto mi ha lasciato è diventato un percorso del ricordo, una memoria di emozioni e di sentimenti che ha finito per travolgermi. Però, di una cosa sono certo: della qualità delle poesie di Bea, il suo lascito perché abbia a goderne anche chi non l’ha conosciuta. Se n’è andata, ma in qualsiasi momento possiamo ritrovarla in questi versi che ci parlano di lei. Di Renzo.Montagnoli
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