Recensione Raymond Queneau Zazie nel metrò
Raymond Queneau Zazie nel metrò
Zazie, nel metrò non ci va. Nell’arco di due giorni parigini, la Zazie, ragazzina irriverente e testarda , incontra personaggi strampalati e surreali (Ullallà le père de Pennac!!) , vive un inseguirsi susseguirsi di rivelazioni di identità doppie, triple, è autrice spettatrice di falsi equivoci e torte in faccia (proprio torte in faccia no, ma la zuffa nel ristorante è di Chaplinesca memoria). Anch’essa, è personaggio surreale, dritta come un fuso nell’affermazione della sua volontà ( e chi contraddice non capisce un c ), fuga e desiderio di blucinz, osservatrice silenziosa quando gli eventi cominciano ad accartocciarsi , ad arrotolarsi, ad ingarbugliarsi.
In realtà la storia è svuotata da ogni finalità, direzione e centro. Anche la Zazie, da protagonista diventa “comparsa”, mentre gli altri personaggi, come in una fisarmonica, dilatano e contraggono il loro apparire e scomparire nel e dal racconto.
Zazie nel metrò è un esperimento di eversione del racconto, dato dal fiorire di fatti su fatti che germinano apparentemente incontrollati, così come le metafore linguistiche, catene di parole e di immagini che si diramano da una metafora iniziale, come questa deliziosa che rimanda ad problema idraulico di un lavandino: “ L’ingombro doveva essersi sturato in un qualche posto, e lo sgocciolio di veicoli scolava lentamente davanti al polizioide.”
L’irriverenza verso il canone si può leggere anche nella beffa dell’autorità: il poliziame da cui tutti i personaggi “positivi” fuggono, è contraddistinto solo da termini vagamente dispregiativi: questurino, questuriname, flic, polizioide, piedipiatti.
Queneau si legge per il piacere delle trovate linguistiche, per il surrealismo della storia affastellata e rutilante. Ha un non so che di liberatorio.
Di Di Artemisia
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