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Recensione Luana Trapè Da Bambine
Attraverso l’infanzia di Silvia l’autrice ci fa scoprire il peso delle paure e delle false convenzioni nella vita quotidiana di una bimba
Apparentemente Da bambi¬ne di Luana Trapè è ,un li¬bro di racconti. In realtà, in sottotraccia, è un romanzo composto di tanti capitoli, ciascuno dei quali è chiuso. nella forma del racconto. La linea di continuità, in questo caso, non è data dallo svolgersi di una trama unica, bensì di tanti pezzi di un puzzle che, composti, consegnano al lettore una singolare unità narrativa. Protagonista è Silvia, una bambina còlta in quell'età di passaggio tra l'infanzia e l'adolescenza durante la quale i timori infantili si incontrano con un mondo che ci sfida a diventare grandi, affrontando una dietro l'altra tante prove. È il rac¬conto di queste prove che diventa il li¬bro della Trapè, all'insegna esclusiva della condizione femminile, ovvero della presa di coscienza di questa nel rappor¬to con la realtà che la circonda. Da bam¬bine, in questo senso, va inteso come un titolo programmatico.
Si aggiunga la notazione non solo am¬bientale, ma anche sociale, che l'univer¬so in cui Silvia si muove è la provincia, in cui c'è un paese e c'è una città lonta¬na vissuta come mito, come alternativa a una vita altrimenti chiusa in un picco¬lo mondo antico, con le sue figure fami¬gliari, genitori, fratellino (con già i suoi privilegi maschili), zii e zie, un vicinato bigotto e ricco di pregiudizi, che l'autrice dipinge con tratti di tenerezza, un pizzico di nostalgia e, soprattutto, giusta ironia. L'aiuta in ciò una memoria prodigiosa, che valorizza dettagli che danno grande verità al racconto, e una scrittura lieve ed evocativa in grado di tirar fuori tutti i topoi delle paure e il peso delle false convenzioni che una bambina deve supera¬re per affrancarsi dal disagio della sua condizione sessuale.
È chiaro che Luana Trapè usa la chiave di una presa di coscienza più tarda, ma la sua abilità sta proprio nel saperla ri¬proporre con autenticità all'interno del processo narrativo.. Ad esempio, la na¬scita del fratellino che usurpa a Silvia il posto di reginetta e la responsabilità che le viene affidata (non solo perché più grande ma, appunto, perché femmina) nell'accudirlo, assume un significato che va oltre la rievocazione del racconto; le gambe che la piccola Silvia viene indot¬ta, con vergogna, a mostrare a scuola as¬surgono a simbolo di un pudore da di¬fendere di fronte alle provocazioni ma¬schili; le preghiere o la ritualità di certi gesti vengono compiuti non per devo¬zione, ma solo a protezione dal rischio di ipotetici peccati e per paura di chissà quali terribili conseguenze, e così via. "Nascondere: ecco l'obbligo più pesan¬te della vita quotidiana", leggiamo a un certo punto. "Ogni cosa che ameresti fa¬re è proibita: privarsi di ogni piacere è dura legge della vita. Perciò ci sono due alternative: rinunciare, oppure impedire che le tue imprese vengano alla luce, in¬ventando imbrogli con gravi rimorsi che galoppano nella coscienza sporca. Le bu¬gie sono in un certo senso le fodere del¬le cattive azioni". Una prigione morale nella quale Silvia vive di fronte agli aspetti più banali e dalla quale solo un lungo percorso dentro se stessi può riu¬scire a liberarci. Tutto ciò si afferra nel fluire di storie subliminali che hanno la leggerezza delle epifanie. Incontriamo Silvia che ha otto anni e la lasciamo, con l'ultimo racconto Se potessi scegliere il mio nome, in terza media, quando ha la prima mestruazione e lei pensa di star per morire, con tutto quel sangue che bagna le lenzuola, e invece scopre di essere di¬ventata donna. Può sembrare una con¬quista. Invece, quel sangue, e i dolori che si porta e si ripeteranno, come le dice la madre, "una volta al mese per cinque giorni finché sarai vecchia", saranno il simbolo più evidente di una diversità dal¬la quale Silvia si chiede come affrancarsi. "Piangere fino a formare un fiume e lì dentro tuffarsi lasciandosi trascinare dalla leggerezza dell'acqua, invece che portare a fatica per il mondo e per l'in¬tera vita il proprio corpo, un fardello troppo greve per la sua mancanza di gra¬zia. Oppure indurirsi, non volere bene a nessuno, non pensare mai all'amore. Realizzarsi in un altro modo". Ma se Luana Trapè ha dato a Silvia i suoi pensieri di bambina, oggi che è grande, ha amato, è impegnata politicamente, e ha scritto dei libri (l'ultimo, prima di que¬sti racconti, Sulla civetteria con Joyce Lussu per le edizioni Voland), sappiamo che il destino intrapreso è stato un altro, non previsto. Sicuramente più fecondo, per lei e per tutti noi che la leggiamo.
DIEGO ZANDEL
Rinascita della sinistra, 2006
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