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Recensione Come nei poemi antichi in cui il cantore iniziava la sua opera con un’invocazione alle divinità, un rito propiziatorio, scaramantico o anche la riconoscenza per la possibilità offertagli di creare, di lasciare una traccia, un solco nella polvere, questa raccolta si apre con una dedica/omaggio alla parola, l’unica in grado di traslare l’idea in sostanza, verificabile, riscontrabile, accessibile ai lettori. In effetti, benché stilisticamente siamo nel XXI secolo, l’impressione che si ricava è che quest’opera abbia gli albori in epoche antichissime, ma anche per nulla remote, con quella solennità che non è retorica, ma pura dinamica della composizione che dona una sostanziale assenza di tempo. E la parola ritorna incalzante, sempre presente, a tratti anche soggetto, pur restando sostanzialmente oggetto, mezzo, sistema di colloquio per andar oltre l’afonia delle sensazioni, che nascono, si sviluppano all’interno in un silenzio che poi, grazie appunta alla parola, diventa timbro vocale, sussurro, anche urlo. Ma di che tratta questa raccolta? Il tema non è nuovo, perché il rispetto per la memoria, tale da andarla a ripescare nei meandri della mente, è un’elaborazione metafisica dei poeti, un punto fermo per cercare risposte a domande sempre posteriori ai fatti ricordati, ma non solo, perché è l’unica possibilità che rende consapevoli di vivere, in quanto esiste un vissuto. Sono così stagioni che si avvicendano, equinozi che hanno un significato che va oltre l’etimologia, perché quella durata del giorno uguale a quella della notte sembra conferire una visione strutturale di una vita, sia come periodo di tempo (e per l’autore sarebbe quello di primavera, anche se dichiara poi che quello più vicino a lui è quello d’autunno) sia come concetto dell’avvicendarsi degli eventi, delle fortune e delle sfortune, di cose belle e di cose brutte, di fatti piacevoli e spiacevoli, ma che in ogni caso hanno tutti un grande pregio: sono solo nostri, un patrimonio inalienabile che riemerge a tratti dalla nebbia di un apparente oblio, una misura indiretta del nostro stato attuale. E in questo percorso itinerante dentro di sé il ricordo di un amore cerca consapevolezze, soluzioni a dubbi che il tempo coglie, quasi che il ripensare a quanto prima ci ha enormemente coinvolto finisca con il diventare un’assoluzione del nostro operato, un riscontro positivo di una vita non sprecata, anche se resta un desolato senso di solitudine, uno spazio tutto nostro a cui manca tuttavia qualche cosa, quell’immagine, quell’emozione, quel sentimento che si propone come memoria, spina nel fianco che fa dolere e gioire al tempo stesso, un pezzo di noi che se n’è andato. Nulla è perfetto ed assoluto, alle ombre si contrappongono le luci nell’equinozio della nostra esistenza. Scritta in modo garbato, non enfatico, con un equilibrio formale che permette una ritmicità costante, questa raccolta si assapora un po’ per volta e invita alla meditazione, una riflessione che coinvolge, senza stravolgere, che accompagna non a certezze, ma a consapevolezze. La lettura, quindi, è da me sicuramente consigliata. Di Renzo.Montagnoli
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