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Recensione Mentre le riflessioni relative ai mutamenti delle strategie militari attuali sono solo una sintesi scarsamente efficace che nulla di significativo aggiungono alla letteratura specialistica,al contrario quelle relative alla definizione di populismo come oclocratia sono di indubbio interesse almeno tanto quanto il parallelismo posto tra pacifismo e populismo,confronto costruito sulla assenza di realismo(nonostante l'autore dichiari di condividere apertamente le istanze ideali del movimento no global).A tale proposito-sotto il profilo della esplicitazione dei presupposti metodologici del saggio-Gianuli sottolinea l'assenza da parte del movimento no global di un impatto rilevante nei confronti della realta' attuale,impatto che fu al contrario di notevole dimensione da parte del sessantotto di cui l'autore e' un fervente sostenitore. D'altronde la difesa quasi apologetica del welfare state e il rifiuto radicale delle oligarchie economiche sovranazionali, rientrano pienamente nella costellazione ideologica del movimento del sessantotto. Dopo aver liquidato in modo grossolanamente superficiale le premesse epistemologiche dell'individualismo metodologico di Von Mises e Von Hayek senza tenere in alcun conto la complessita' della loro riflessione e che interpreta come criptofasciste(confermando in tal modo il tradizionale pregiudizio della sinistra estrema relativo alla equipollenza tra fascismo e liberismo),con altrettanta rapidita' stigmatizza duramente il contributo storiografico di Furet e Nolte caratterizzandolo non solo come scarsamente originale ma soprattutto come un esempio illuminante di storiografica asservita ad un preciso intento politico e priva dunque del necessario spessore scientifico.In realta',Gianuli non solo non si accorge che la medesima accusa potrebbe essere agevolmente rivolta ai suoi contributi storiografici ma omette di rilevare come la storiografia noltiana e furetiana rappresenti una temibile concorrente di quella marxiana(fra l'altro i rilievi mossi a Furet solo solo una parafrasi di quelli di Losurdo).Al contrario, nei confronti di De Felice-pur essendo costretto a denti stretti a riconoscerne gli indiscutibili meriti-ne ridimensiona la portata in relazione alla demistificazione defeliciana del mito resistenziale,confermando in tal modo la pesante ipoteca ideologica che grava sul suo saggio,d'altronde agevolmente rilevabile sia dall'apologetico commento dell'opera storiografica di Spriano sia dalla valutazione completamente negativa dei contributi di Melograni e Pansa liquidati sbrigativamente e in modo sprezzante.Per quanto concerne le considerazioni di Gianuli relative agli scritti di Flamigni e De Lutiis-massimi interpreti a sinistra della strategia della tensione-,pur non condividendo la tesi portante degli autori secondo i quali sarebbe esistita una regia unica dietro le stragi di stato,ne condivide tuttavia l'impianto complessivo confermando in tal modo-ancora una volta-i profondi pregiudizi ideologici che alimentano i suoi saggi storiografici(ci riferiamo a scanso di equivoci a quelli antiatlantici e antimilitaristi).La medesima superficialita' e faziosita' sono riscontrabili sia nella ipotesi complottistica-formulata dall'autore- da parte della intelligence inglese sul caso Mitrokin sia nei confronti delle riflessioni di Hundington.Ebbene -a nostro avviso-le uniche considerazioni degne di interesse sono quelle relative agli strumenti di fasificazione storica(fra i quali la falsificazione dei dati,la reticenza,la manipolazione e il montaggio suggestivo) intorno ai quali il saggio avrebbe dovuto polarizzarsi-invece di lasciare spazio alle opinioni politiche dell'autore-e quelle relative alla sapiente strumentalizzazione politica del Processo di Norimberga fatta da Israele.In conclusione,nonostante le affermazioni di principio sulla assoluta necessita' di distinguere nettamente tra uso legittimo-sotto il profilo politico-della storia e abuso della stessa,il saggio dell'autore costituisce una testimonianza illuminante di abuso della storia. GAGLIANO GIUSEPPE
Di prupitto
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