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L'insegnamento delle lingue straniere

La questione della lingua in Europa è cruciale nel momento in cui la mondializzazione parla inglese e l’Unione Europea si è allargata a 27 membri. E’ un grave errore di valutazione credere che i destini delle lingue seguano “leggi naturali” e siano “spontaneamente”soggetti all’egemonia dell’inglese quale lingua unica veicolare europea.


Al contrario, come dimostra il saggio dell’esperto di economia linguistica François Grin, “L’insegnamento delle lingue straniere come politica pubblica”, questo fenomeno è meramente politico, economico e sociale con conseguenze negative e ingiuste sulla distribuzione di risorse materiali e simboliche fra popoli e Paesi .


La questione dell’egemonia linguistica, quindi, deve essere affrontata con adeguate politiche europee, al fine di salvaguardare la diversità dell’ecosistema linguistico europeo e globale.


E proprio questo è il merito di Grin che, nel saggio, va oltre le semplici constatazioni sul tema della diversità delle lingue in Europa per presentarci invece un’analisi comparata di tre scenari alternativi di politica linguistica evidenziandone di ognuno vantaggi e svantaggi in termini di allocazione di risorse tra gli Stati dell’Unione.


Il primo, quello del “tutto inglese”. Secondo l’autore grazie a questo il Regno Unito guadagna minimo 10 miliardi di euro netti all'anno. E, “se si tiene conto dell'effetto moltiplicatore di alcune componenti di questa somma, così come il rendimento dei fondi che i paesi anglofoni possono investire in altri modi grazie alla posizione privilegiata della loro lingua, il totale ammonta a 17-18 miliardi di euro l’anno”. Senza considerare il vantaggio di cui godono i madrelingua anglofoni nelle assunzioni lavorative e “in tutte le situazioni di negoziazione o di conflitto che si svolge nella loro lingua”.


Non si tratta assolutamente di incriminare l'inglese. Il problema sarebbe lo stesso se dominasse un'altra lingua nazionale. Lingua unica, pensiero unico, potere unico?


La soluzione è quindi altrove. François Grin dimostra che “nel nostro tempo, l'esperanto è senza dubbio il pretendente più serio”. Comporterebbe “un risparmio netto per l’Europa intera (Regno Unito e Irlanda compresi) di circa 25 miliardi di euro l’anno”, essendo il costo di apprendimento dell‘idioma “incomparabilmente basso, qualunque sia la lingua dello studente” . Esso può, “d’altro canto, essere raccomandato nel quadro di una strategia a lungo termine”. Tuttavia, le frequenti reazioni di rifiuto verso l’esperanto, lingua coniata da più radici, rendono questo scenario improbabile.


Invece, “a breve e medio termine” lo scenario preferibile in termini di politica pubblica delle lingue, secondo l‘autore sarebbe quello dell’insegnamento “plurilingue, che non riduce i costi ma le ineguaglianze fra i parlanti, se non per il fatto che gode di una grande accettabilità politica”. Senza dubbio, lo scenario più conforme all’idea di un’ Europa costruita sulla diversità di lingue e culture.


Ma, anche se la soluzione plurilingue sembra politicamente più accettabile, l'esperanto sarebbe la soluzione migliore nel quadro di una strategia “da realizzare in una generazione”, e da usare in un contesto plurilingue, di cui sarebbe, in fin dei conti, la “migliore alleata”.


Insomma, fare dell'esperanto la lingua ufficiale degli scambi internazionali...l'idea sembra un po' strampalata! Eppure “nessuna alternativa garantisce un tale grado di equità tra i cittadini europei”. Anche in questo caso, quella di Grin è una voce fuori dal coro, fatta non da un militante ma da un attento analista delle politiche linguistiche europee.


http://www.lulu.com/content/6652897

Di Recensioni Era

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