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Recensione Lo studio di Grazia Aloi si colloca con grande coraggio al centro di un dilemma ancora difficilmente superabile: oggettività ed intersoggettività nelle scienze della mente umana. Le scienze naturali, comprendendo quindi anche la psicologia, la psichiatria e la psicoterapia (derivate per lo più dalla medicina), hanno come metodo d’indagine il metodo empirico, ossia l’osservazione, la misurabilità dei fenomeni, la loro descrizione, l’ipotesi di lavoro, la riproducibilità nell’esperimento immune da interferenze, la formulazione infine di una legge generale. Le ricerche condotte con il metodo sperimentale, per aver diritto di cittadinanza in ambito scientifico, generalmente necessitano di una validazione statistica: soltanto allora le conclusioni dell’indagine sono applicabili a tutti i fenomeni della medesima natura. Qualsiasi affermazione in campo scientifico deve dunque essere suffragata dallo studio su di un campione sufficientemente vasto, omogeneo, significativo e rappresentativo. Sono questi i criteri seguiti dalla medicina basata sull’evidenza e da ogni altra indagine rivolta al comportamento umano. Nelle discipline mediche e biologiche, come in tutte le altre scienze naturali, la realtà fenomenica deve essere oggettivata e l’esperienza così concettualizzata fruibile da chiunque, mentre è irrilevante, ai fini dell’analisi, l’osservatore, se non come strumento convenzionalmente tarato. Questo metodo trova i suoi limiti e quindi la sua insufficienza per gli studi sulla mente umana: le discipline psicologiche infatti non sono soltanto scienze di natura e pertanto non possono avvalersi esclusivamente dell’ impianto delle scienze sperimentali fondate sulla quan Non esiste alternativa: posso conoscere me attraverso di te. E viceversa. È innegabile dunque che la psicologia, sia pur con esiguità di mezzi e di tecniche strumentali per analizzare la mente di un essere umano, debba necessariamente ricorrere ad un altro essere umano, cosiddetto esperto (psichiatra o psicologo che sia, aiutato al limite da reattivi mentali e da indagini di tipo neurologico), per costituirsi e proporsi come scienza dell’uomo. Né può essere diversamente. L’oggetto da conoscere possiede la stessa natura del soggetto conoscente: si conosce la mente umana con la mente umana. Questa identità di natura tra soggetto conoscente ed oggetto conosciuto — situazione unica tanto nelle discipline umane quanto nelle scienze naturali — favorisce, per quanto riguarda il rapporto terapeutico, l’originarsi di fortissimi processi identificativi. Tali identificazioni, come anche la fluidità della situazione relazionale tra terapeuta ed utente, che mantiene il campo d’osservazione in una situazione di dinamica intersoggettività, non offrono certo al rigore richiesto dalle scienze proposizioni certe ed inequivoche. Ne deriva l’irrinunciabile necessità di focalizzare l’indagine contemporaneamente all’oggetto anche sul soggetto esaminatore. È questa la ragione per cui numerosi scienziati–scientisti negano valore scientifico alla psicoanalisi: Freud stesso, essi affermano, può vantare un numero di casi troppo ristretto. Non si può fondare una scienza ed un modello della mente su così poco materiale. L’obiettivo di applicare alle indagini sulla mente umana esclusivamente il metodo sperimentale appare irrealizzabile, snaturante e limitante a prezzo di pesanti riduzioni sul versante antropologico: è quanto si può cogliere nella prospettiva neuropsicologica, neuropsicofarmacologica o neuroendocrina, in quella reflessologica, nello stesso approccio clinico bio–psico–sociale ed anche in parte nella visione cognitivo– comportamentale che pure offrono contributi innegabili alla migliore conoscenza del funzionamento psichico. Nella stessa psicoanalisi si risentono fortemente gli echi trionfalistici delle scienze di fine ottocento e dei primi del novecento nei concetti di dinamica, di energia, di topica, di genetica e di economia sino a giungere ad un modello della mente che risulterebbe in fin dei conti profondamente deterministico, se non fosse stato descritto e valorizzato il fenomeno del transfert e del controtransfert insieme con le complesse sfaccettature in cui si configura il rapporto tra l’analista e l’analizzato, in tutta la sua ineliminabile intersoggettività. In questo contesto si inserisce il libro di Grazia Aloi. Vi si affronta uno degli aspetti maggiormente problematici per il terapeuta e per lo stesso metodo di indagine: il sogno. Non si tratta del sogno del paziente relativamente oggettivabile di cui si potrebbe in linea teorica farne l’anatomia una volta appreso il linguaggio onirico in generale e il lessico di quel determinato soggetto in particolare. Questione di grammatica e di sintassi. Lavoro che richiede scienza, competenza, intuizione ed esperienza. Operazioni da traduttore, in fine. Le Interpretazioni da parte dell’analista e le verifiche congiuntamente svolte con l’analizzato permettono di cogliere con buona approssimazione la realtà intrapsichica del sognatore. Le congetture avanzate nel “setting” giungono ad essere plausibili con elevato grado di verosimiglianza. Per lo meno aprono nuovi campi su cui lavorare. Non di questi sogni vuole occuparsi l’Autrice, con la sua ricerca. Grazia Aloi prende in esame il sogno del terapeuta. Proprio così. Dell’analista. La Aloi si mette in gioco lei stessa prima fra tutti: seguendo un progetto durato oltre due anni, ha voluto indagare il soggetto esaminatore, l’analista, ossia colui che, studiando i propri movimenti controtransferali, potrebbe coglierli meglio nella sua stessa attività onirica. Eppure neanche questo sembra il principale obiettivo dell’Autrice e nemmeno che il terapeuta sogni il suo paziente. Grazia Aloi intende andare con questa ricerca oltre lo studio dei movimenti controtransferali. Ciò che vuole esaminare invece è il sognare “per” il paziente, “al posto” del paziente, “in vece” del paziente. Assurdità? Progetto senza fondamento? Idea peregrina che, anche se fosse dimostrabile, non apporterebbe nulla di nuovo alle conoscenze?Eppure, dice Grazia Aloi, non vi è mai capitato? Possibile che non abbiate fatto caso all’evento di aver sognato “per delega” del vostro paziente? Riflettete. Quante volte succede a due interlocutori di pensare alla stessa cosa simultaneamente. Quante volte l’uno dice all’altro: “Mi hai rubato l’idea! Era proprio quello che stavo per dire!” Lo sapevano anche gli antichi filosofi medievali quando, nel recuperare i concetti della psicologia razionale di Aristotele, parlavano di “vis cogitativa” o anche “vis aestimativa” come di quella intuizione interiore, repentina, sorprendente, come una sorta di presagio con inquietanti caratteri di realtà, sortita di primo acchito, delle intenzioni di un interlocutore, ancor prima di qualsiasi interlocuzione. E allora, i neuroni a specchio, di cui tanto si discute, non sarebbero forse un aspetto neurologico della complessa attivazione, neppure percepita dalla coscienza, del nostro sistema nervoso quando un soggetto entra in rapporto con un’altra persona? Vivere un evento al posto di un altro, con e mediante un altro può accadere parzialmente nella compassione. Più facile comprenderlo nella gioia in cui la condivisione si verifica anche a distanza. Anche se non sufficientemente dimostrato, il pensiero junghiano in merito all’inconscio collettivo, transpersonale e transgenerazionale, sia pure in ipotesi, può dare un’idea della partecipazione esistenziale extraindividuale ed interindividuale degli esseri umani. Fuori dalla prospettiva psicologica il fenomeno è visibile nella pratica della religione: pregare al posto di un altro e non solo in favore di un altro, soffrire–offrire un dolore al posto di un altro in virtù di una comunione in Dio, farsi carico dell’altrui dolore ed espiare come il Cristo in croce sono concetti ben noti alla religione cristiana, in parte collimanti con la modalità esistentiva delucidata dalla fenomenologia antropologica (“mit–sein”, “mit–ein–ander–sein–in–der–Liebe”) in cui la trascendenza dell’Io nel Tu è pressocchè costante, non soltanto in termini razionali, coscienti e storici. Sognabilità delegata, dunque. Sognare per un altro. In primo luogo verifichiamo se è vero: questo è il punto di partenza. Facciamo un inchiesta ben strutturata. Grazia Aloi procede con i piedi per terra. Vengono spediti tremila questionari e raccolte le interviste più significative di cento terapeuti, la maggior parte dei quali analisti. Hanno in mano un questionario rigoroso. Le risposte arrivano nel corso di due anni di accurate riflessioni, calcolando e confrontando i dati di cinquemiladuecentocinquantasei variabili. L’inchiesta viene condotta ed esaminata con rigorosi procedimenti statistici, sostenuti da un impianto teorico ed affiancati da interpretazioni psicodinamiche come anche da opportune considerazioni ispirate alla fenomenologia antropologica che supera lo schema delle scienze positive per collocarsi al di là delle categorie causa –effetto, soggetto–oggetto, mente–corpo in modo da cogliere l’aspetto esclusivamente ed unicamente umano ed interpersonale dei fenomeni (“Das menschliches Da–Sein”). Compreso il sognare per un altro, si capisce. Viene chiarito che il sognare per l’altro, come, in misura minore, sognare il proprio paziente, o infine sognare semplicemente, comporta necessariamente un temporanea regressione dell’Io del terapeuta, salutare regressione, necessaria, perché no?, anche in una buona seduta di psicoterapia. È evidente che la regressione del terapeuta esaminatore deve procedere al riparo dalla possibilità di scompensarsi. La regressione comporta la rarefazione e la permeabilità dei confini dell’Io e la sua disponibilità ad accogliere l’irrazionalità dell’altro senza pretendere di razionalizzarla ed inquadrarla immediatamente. Il terapeuta, nel fenomeno del sogno delegato, non si propone un’analisi approfondita, sistematica e razionale come succede in terapia ed in analisi per prendere coscienza dei movimenti transferali e controtransferali: semplicemente si lascia investire, impropriamente si potrebbe dire che si lascia “alienare” anche se è una nuova alterità che entra dentro di lui. Il sogno “delegato” non è un evento da sottovalutare allorché si verifica. Potrebbe essere anche l’unica strada per iniziare un lavoro terapeutico quando il paziente è destrutturato dalla psicosi, incapace di un’alleanza di lavoro a livello dell’Io e quindi non immediatamente analizzabile. Si tratterebbe dunque di istituire una dualità, una comunione a livello dell’inconscio. Molte volte il paziente è talmente regredito che tra di lui ed il terapeuta non ci sono parole, non “Io” che tenga, non ombra di ragionevolezza possibile. È allora che al referente terapeuta tocca regredire. Bisogna regredire per acciuffarlo dal vortice in cui annega, tuffandosi e sperimentando la confusione che angosciosamente inghiotte con l’ondare dei suoi flutti. Devo fare esperienza dentro di me del tuo mondo per capirti. Posso soltanto nuotare al posto tuo, pesare con il tuo corpo insieme con il mio, soffiare nelle tue narici asfittiche da esperire la tua espirazione insieme con il mio alito finché non lo fai da te, finché non rigurgiti l’acqua aspirata ed ingerita, insomma…. posso soltanto sognare al posto tuo. Non ci sono parole. Dopo, riusciremo ad emergere. Per ora riproduco il tuo mondo dentro di me fino a renderlo attivo e sperimentabile. Sogno al posto tuo. Grazia Aloi sa come uscire dalla situazione. Non si smarrisce. Sa anche come aiutare il paziente a svincolarsi dall’identificazione ed a reperire un’identità a lui forse ancora sconosciuta. Buona “levatrice– partoriente” deve essere il terapeuta in questi casi gravi: cercare a tentoni la strada per uscire dalla confusione. Accettare di soffrire e di gioire. L’evento della comunione–confusione con il paziente, inevitabilmente presente nella sognabilità delegata resta comunque un rischio comune nel trattamento di ogni psicosi. Questa coraggiosa presa di posizione dell’Autrice non può naturalmente trovare tutti d’accordo: la relazione con l’utente così proposta da Grazia Aloi supera grandemente i termini dell’empatia necessaria in un qualsiasi “setting” psicoterapeutico e va molto al di là, con inesplorabili sconfinamenti, dei criteri di conduzione di un’analisi ortodossa. Eppure, sì: è vero, è documentato: si può sognare per un altro, per il proprio paziente. L’indagine lo dimostra. La Aloi analizza il fenomeno in tutte le variabili possibili con l’avvincente suo questionario, ma già un primo risultato va annotato qui in introduzione e costituisce una scoperta o, forse, per molti, una conferma. Le donne sono capaci di sognare per un altro, gli uomini molto meno. Grazia Aloi è una donna e mette stupendamente a nudo, in questo lavoro, la sua femminilità nel modo di procedere dell’indagine, nello stile linguistico avvincente, spesso quasi lirico, ricco di metafore, simboli e richiami letterari come sempre avviene quando bisogna trasmettere l’inesprimibile. Il linguaggio è tuttavia rigoroso e pertinente da un punto di vista scientifico. Le competenze di Grazia Aloi non sono mai sradicate dalla sua storia personale: si guardi il lettore, nella prima parte del libro in cui trova dei cenni autobiografici, dal pensare ad uno sfoggio di ricordi, ad un grazioso costrutto artistico: fare scienza in psicologia è sempre avere note le qualità del soggetto esaminatore e cogliere il suo particolare modo di osservare i fenomeni. Grazia Aloi si presenta così com’è: con la sua storia, la sua competenza di psicoanalista, la sua esperienza, la sua personalità. Ebbene, proprio e forse soltanto la donna, che giunge con la maternità all’apice della sua femminilità, può capire cosa vuol dire “sognare con–e sognare per” – un altro–che–è–dentro–di–me, che–è–con– me, che–mi–appartiene, ma che–non–sono–io, un altro che sente con me e che io sento, ma che è inequivocabilmente altro da me. L’indagine prosegue: per le donne sognare per un altro è sempre sognare una persona cara, importante, significativa. Per l’uomo, se succede, è semplicemente sognare per il paziente. Basterebbero questi primi risultati per argomentare su basi certe alcune nozioni di psicologia differenziale tra uomo e donna. Una volta assodato che la sognabilità delegata esiste, come si fa a prenderne consapevolezza? Come distinguere il sognare un paziente dal sognare per quel determinato paziente? Quali possibili risvolti applicativi potrebbe avere il fenomeno esaminato? Che significato ci sarebbe in tale comunicazione bilaterale intersoggettiva e non solo intrasoggettiva? Che senso avrebbe annullare i confini di paziente e terapeuta, in un legame duale parzialmente conscio e parzialmente inconscio se poi non si possono ricostruire? Come uscire rinati dalla temporanea simbiosi? Nella prima parte del testo la Aloi segue il classico procedimento clinico–descrittivo centrato su alcuni casi di sognabilità delegata, da lei trattati secondo il metodo specifico delle scienze psicologiche in cui un fenomeno viene analizzato in sé e contemporaneamente nella relazione con il terapeuta o analista che dir si voglia. La lettura psicodinamica delle vicende dei casi esaminati consente una chiara visione del fenomeno con tutti i complessi e correlati rapporti analista/analizzato. L’Autrice, perfettamente convinta che non si tratta di artifici mentali, passa nella seconda parte del libro ad una disamina rigorosa del questionario sul sogno delegato, disamina ben validata da un punto di vista statistico. Ipotesi confermate ed ipotesi attese disconfermate. Qui non c’è spazio per mettersi in gioco come strumento esaminatore. Si tratta soltanto di fare buoni calcoli. Significativo, non significativo. Attendibile, non attendibile. Probabile, impossibile. Confrontato, incrociato, comparato, diffuso. Le conclusioni, ineccepibili da un punto di vista statistico, ricevono da Grazia Aloi interpretazioni ed ulteriori ipotesi. È la prima volta che si parla in termini scientifici di sogno delegato. Lo studio non può rispondere a tutti i numerosi interrogativi, ma va molto al di là delle conclusioni a fine di ogni capitolo proposte dall’Autrice. Il pregio del libro sta proprio in questo: i risultati ottenuti possono ulteriormente venire interpretati, analizzati, confrontati dai lettori esperti. Si tratta di un “corpus” di nozioni e di dati sui quali si può ancora molto indagare, lavorare e discutere. Sotto ogni significato, questo libro di Grazia Aloi è un libro aperto. Franco Poterzio Di gio2
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