Recensione Edgar A. Poe “William Wilson” e l’inconscio
In “William Wilson”, altro superbo “psychological thriller” pieno di riflessi autobiografici e da leggere in senso psicanalitico, Poe narra di un ragazzo e del suo alter ego, compagni di scuola. Ne approfitta per fare una descrizione della sua scuola di Stoke Newington («antichissimo edificio di un misterioso villaggio dell’Inghilterra ricco di panorami fantastici, suoi quali gettavano le loro grandi ombre perenni degli immemorabili olmi»). Lo strano compagno č molto simile a William: č nato lo stesso giorno e ha il suo stesso nome e cognome; bisbigliando («…e il suo mormorio singolare divenne la mia stessa eco»), gli dŕ utili consigli e ammonimenti, comparendo in diverse situazioni e tentando di contrastarne le cattive azioni. L’autore descrive il protagonista, divenuto un essere ignobile che ha sceso tutti i gradini dell’abiezione, come un «reietto fra tutti i reietti piů dissoluti», e parla di «una nube densa, lugubre e sconfinata… eternamente sospesa tra le speranze e il cielo», di «indicibile miseria e d’imperdonabile colpa… in mezzo a un deserto di orrori». E il giovane - che avverte il suo alter ego come una «sinistra coscienza… uno spettro sul suo sentiero» - decide di ucciderlo in duello, per accorgersi poi con orrore (dinanzi a uno specchio) di aver pugnalato se stesso. L’antagonista moribondo gli dice: «Tu hai vinto e io mi arrendo. Ma d’ora in avanti anche tu sei morto, morto per il Mondo, per il Cielo e per la Speranza! In me tu esistevi e nella mia morte, vedi da questa immagine - che č la tua stessa - quanto completamente hai assassinato te stesso.». In una tremenda lotta tra Bene e Male, l’Edgar colpevole e vizioso ha ucciso quel che restava dell’Edgar buono e puro, pieno di grandi sogni ed elevate aspirazioni! A Poe sembrano note le caratteristiche dell’inconscio, prima della descrizione fattane da Sigmund Freud. Non a caso, Freud scrisse l’introduzione al libro di Marie Bonaparte “La vita e i lavori di Edgar Allan Poe”, pubblicato nel 1949.
Poe, d’altra parte, ha nella sua vita mostrato un’ambigua ambivalenza sia nel temperamento sia nell’arte: era dolce e devoto con chi amava, irritabile e arrogante con gli altri; era idealista e visionario da un lato, acuto e minuzioso osservatore di dettagli dall’altro; nelle sue poesie usava versi angelici mentre nei suoi racconti era aspro e forte; era infine un critico intransigente dei grandi autori ma sapeva essere inaspettatamente generoso con gli scrittori minori.
Di Silvia Iannello
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