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Recensione Yasmin Crowther Maryam Mazar, iraniana trapiantata a Londra da ormai quarant’anni e sposata ad Edward, vive la propria vita in apparente tranquillità finché due terribili eventi vengono a sconvolgerle l'esistenza: la morte della sorella a Teheran e la prematura interruzione di gravidanza della figlia Sara. Da lì ripartirà il desiderio di Maryam di tornare in Iran. luogo dove, per sua stessa ammissione, abita ancora il suo cuore Figlia di un uomo molto influente, soldato dell’allora Scià, Myriam in gioventù era stata ingiustamente incolpata di aver passato una notte con Alì, uomo di fiducia alle dipendenze del padre che in realtà l’aveva solo tratta in salvo durante i disordini comuni in quel periodo di confusione politica. Rifiutato il matrimonio riparatore offertole con un uomo di alto rango, era stata scacciata dalla famiglia per non farvi più ritorno. Maryam in tutti quegli anni non ha raccontato a nessuno il motivo della sua improvvisa partenza dall'Iran e ora, resasi conto di come siano esili le radici che la legano ad una Londra che le appare così cupa e grigia in quel terribile inverno, sente il bisogno di condividere con qualcuno il proprio passato. Decide quindi di tornare in quella casa dove è cresciuta fra il profumo di coriandolo e di zafferano. Lo zafferano, infuocato come il tramonto, come il sangue che sgorga da una ferita, come l’hennè sulle dita di una mano o come quella terra iraniana da cui lei stessa proviene, è il colore della passione verso un mondo perduto ingiustamente e prematuramente. Il ritorno di Myriam in Iran è come un tuffo nel passato e nel guardare le montagne avvicinarsi, una terra color ambra ocra e zafferano, sentirà scomparire lontano alle sue spalle la casa che ha lasciato in Inghilterra, con le sue siepi curate e i prati opulenti che le appaiono ora di un verde assolutamente intollerabile. Maryam ricorda anche con sgomento come negli anni successivi alla sua partenza in Iran, nel 1979 la fuga dello Scià ha cambiato ogni cosa e l’arrivo di Khomeini, ha ricoperto tutto di nero riportando un mondo dalle soglie della modernità nel medioevo più profondo. Mentre Maryam si trova in Iran la figlia Sara a Londra elabora il lutto per la perdita del figlio e cerca, nel contempo, di comprendere i motivi della fuga della madre. Nel far questo si rende conto di come siano radicate in lei le tradizioni da questa trasmesse. Rimasta sola a casa si aggira nel giardino ricordando gli odori e i sapori che Maryam le ha insegnato ad apprezzare fin da bambina. Nella sua casa c'e sempre stato odore di cannella e di chiodi di garofano. Ricorda anche le vesti dell’Iran, i chador di stoffa leggerissima, di mussola e chiffon a pois multicolori che la facevano sembrare una farfalla e con cui si ammantava allegramente. In tutto questo la fitta dell’assenza della madre è forte ed in lei è presente il ricordo di una frase che diceva sempre “Se mi mostravo debole mi punivano. Per rendermi forte”. Maryam , tornata in Iran e finalmente sollevato quel velo di dolore che aveva cercato di non vedere o di dimenticare, attraversato il tempo come in mezzo a tendaggi appesi fra una stanza e l'altra, dopo aver rivisto Alì che ora fa il maestro e non si è mai sposato, decide di scrivere alla figlia per invitarla e per svelarle finalmente il suo passato. Sara sente dalla viva voce della madre quale alto prezzo Maryam ha dovuto pagare per ottenere la libertà nonché ascolta da lei il racconto della terribile scena di violenza subita dal medico il quale, dopo aver verificato, su richiesta del padre, la sua verginità, assieme agli altri soldati, abuserà di lei. A questo punto Mayriam confessa alla figlia il desiderio di restare in Iran consapevole ormai del fatto che l’Inghilterra è solo un posto dove, pur non avendo il velo a coprirle le orecchie, deve concentrarsi con tutte le forze per figurarsi che cosa si dice e si pensa intorno a lei e come, oramai, sia intollerabile non avere nessuno con cui condividere i ricordi del passato. Aver rivisto Alì è stato poi, come spalancare le ali a quella farfalla che era rinchiusa dentro di lei. Un libro molto bello, dal linguaggio semplice e diretto intenso e poetico, in un intrecciarsi continuo di luci e profumi di spezie, dove il dolore e la collera fra un padre e una figlia si stemperano solo col trascorrere del tempo ed in cui il tentativo molto sincero e realista di unire due culture così diverse come quella iraniana e anglosassone sembra fallire totalmente. Soltanto Sara, figlia di un’iraniana e di un inglese, nata e cresciuta in Inghilterra, sarà capace di confrontarsi con la tradizione di un mondo antico come quello iraniano e con la contemporaneità del mondo anglosassone, riuscendo così ad amarli e a comprenderli entrambi. E' quindi lei la prima vera figlia di una nuova cultura (anglo iraniana) dove sarà bello, significativo oltre che divertente, colorare “La cucina color zafferano” da cui trae spunto il titolo del libro.
A cura di Tania Maffei Di 9gatti
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